Prendo spunto, anzi mi faccio ispirare, anzi proprio copio dalla column di un opinionista del Washington Post (qui). Che dice: nello scorso weekend altre due donne Democratiche, due senatrici, hanno annunciato la loro candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Elizabeth Warren del Massachusetts e Amy Klobuchar del Minnesota. I loro discorsi di presentazione non potrebbero essere più diversi. Non tanto per i punti programmatici a cui fanno riferimento, che hanno elementi di diversità ma anche in buona parte si sovrappongono (e di questi non parlerò). Quanto per la narrazione politica e sociale e filosofica dentro cui questi punti sono collocati per dare loro un senso. Sono due narrazioni o due framework contrastanti, che rispecchiano il dibattito e le diverse opzioni all’interno del partito.
Warren ha pronunciato il suo discorso (qui) a Lawrence, Massachusetts, un luogo famoso, quasi mitico nella storia del movimento operaio americano, anche per via del celebre slogan “il pane e le rose”. E infatti inizia ricordando il lungo sciopero che ha creato il mito, poco più di un secolo fa, dei lavoratori tessili della città, donne e uomini immigrati da decine di paesi, che parlavano decine di lingue diverse, ma decisi a restare uniti per affermare i loro diritti individuali e collettivi. (Parecchi erano italiani o italo-americani, aggiungo io, anche fra i dirigenti, anche fra i dirigenti che finirono in prigione). Uno sciopero vinto, una svolta importante che portò all’aumento dei salari, al riconoscimento dei sindacati, alla legislazione sociale e sul lavoro nello stato e nella regione. L’evento di allora, dice Warren, è ancora rilevante perché contiene una lezione importante per il “che fare” di oggi.
La storia di Lawrence è la storia di come si ottiene il vero cambiamento in America. E’ una storia sul potere – sul nostro potere – quando ci battiamo insieme. Oggi milioni e milioni e milioni di famiglie americane lottano per sopravvivere in un sistema che è stato truccato dai ricchi e dai potenti. La gente che lavora si scontra con un piccolo gruppo che detiene fin troppo potere, non solo nell’economia ma anche nella nostra democrazia. Come le donne di Lawrence siamo qui a dire ora basta!
Battersi insieme, dunque, non farsi dividere, esercitare un potere che spesso non ci si rende conto di avere. Per fare riforme vere, fondamentali, dice Warren. Non possiamo più permetterci di perdere tempo intorno a dettagli marginali, aggiustare una cosa qui, una cosa là, dobbiamo mirare al bersaglio grosso. “La nostra lotta è per un cambiamento grande, strutturale”. Individuando e dando un nome al nemico. E non rifuggendo dallo scontro diretto, usando apertamente il linguaggio del conflitto.
Quando parlo così, i ricchi gridano ‘guerra di classe!’. Bene, fatemi dire una cosa, questi stessi ricchi hanno condotto una guerra di classe contro i lavoratori per decenni – dico che è venuto il momento di rispondere per le rime.
Il discorso di Klobuchar (qui) è molto diverso nel suo impianto narrativo. Il suo tema è meno il conflitto e più la necessità di superarlo. Klobuchar parla nel suo Minnesota, sotto una fiabesca tempesta di neve, da un’isola sul Mississippi, il grande fiume di cui sottolinea (inutilmente dal punto di vista geografico, tutti lo sanno, ma utilmente per lei dal punto di vista simbolico) la caratteristica di unire la heartland dell’immenso continente. Racconta subito di un ponte crollato non lontano da lì, e dello sforzo di tutti – bipartitico, anche in Congresso, “across the aile” – per ricostruirlo, per ottenere fondi federali per le infrastrutture. Ricorda l’unità di intenti in un modo che è estraneo non alla politica in quanto gestione della cosa pubblica bensì alla politics intesa come scontro di parte e di partito. Non rievoca, come Warren, un conflitto operaio ma un esempio di spirito comunitario, uno spirito che pensa si stia perdendo.
Questa è comunità. Questa è una storia condivisa. Questo è un caso di gente ordinaria che fa cose straordinarie. Ma oggi il senso di comunità si sta incrinando in tutto il paese, consumato dalla natura meschina e violenta della nostra vita politica. Siamo tutti stanchi di shutdown e di showdown, di paralisi istituzionali e di protagonismi personali. Oggi è il momento di dire basta.
Klobuchar propone riforme che, prese una a una, corrispondono abbastanza a quelle di Warren, dopo tutto è erede di una tradizione progressista (nel Minnesota il partito Democratico ancora si chiama Democratic-Farmer-Labor Party). Ma non le inserisce in una narrazione di conflitto esplicito e sistemico, di “noi verso loro”, in cui il nemico è chiaramente individuato e nominato. E anche i cattivi soggetti in circolazione, gli interessi non limpidi, le lobby delle armi e dell’industria farmaceutica, per dire, le “forze oscure” non sembrano far parte di un unico quadro di antagonismo. Il problema principale per lei è la “nostra” politica e la “nostra” vita pubblica, un sistema nel quale siamo tutti coinvolti, di cui siamo tutti responsabili, che siamo chiamati tutti insieme a redimere dalle sue miserie.
E oggi, in un momento in cui dobbiamo guarire il cuore della nostra democrazia e rinnovare il nostro impegno per il bene comune, sono di fronte a voi come la nipote di un minatore, la figlia di una insegnante e di un giornalista, la prima donna eletta nel Senato degli Stati Uniti dallo stato del Minnesota, ad annunciare la mia candidatura a Presidente degli Stati Uniti.
Il partito Democratico ha bisogno di una guaritrice o di una combattente? Ovvero, di una linea politica moderata e conciliante oppure critica e aggressiva? In primo luogo, come ovvio primo obiettivo, per mandare a casa Donald Trump? Ma senza trascurare le tante riforme giudicate necessarie, a spizzichi e bocconi oppure come grand design? Se questa è la domanda ricorrente, e che si ripeterà spesso nell’anno a venire, qui ci sono due risposte chiare. La ex-procuratrice del Midwest, la pragmatica nipote di un minatore, è ovviamente la guaritrice. La ex-professoressa della East Coast, figlia di un janitor, è la combattente più radicale.
Già, dimenticavo. Anche Elizabeth Warren ha una sua storia pubblica di uplifting individuale e sociale da raccontare, perché come Klobuchar crede nelle opportunità dell’America – magari di una o due generazioni fa?
Mio padre era un addetto alle pulizie, ma la sua bambina ha avuto la possibilità di diventare insegnante nella scuola pubblica, e poi professore di college, e senatore degli Stati Uniti – e candidata a Presidente degli Stati Uniti.
Ah, dimenticavo ancora. Che siano donne, loro e altre candidate che sono già in corsa o che lo saranno, suvvia, sarà anche il momento di smettere di commentarlo. E’ un fatto normale della vita.
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