Il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori americani salariati e stipendiati continua a essere molto basso, il 10,5% del totale nel 2018, in lieve declino dall’anno precedente (10,7%). Il declino è soprattutto significativo rispetto al 1983, il primo anno di questo specifico tipo di rilevamenti, quando la densità sindacale era del 20,1%. E’ doppiamente significativo rispetto all’apice dei successi post-New Deal, a metà degli anni cinquanta, quando la densità era vicina al 35%. Ma insomma, si trattava di un’altra epoca storica, e il 1983 già registrava il trend della nuova epoca che ancora stiamo vivendo. Questo e altro sappiamo secondo le stime ufficiali (ufficiali, ma stime) elaborate dal Bureau of Labor Statistics del U.S. Department of Labor e rese note qualche settimana fa.
In numeri assoluti, gli iscritti ai sindacati sono 14.700.000, divisi grosso modo a metà fra il settore pubblico e quello privato. Ma in percentuale della forzalavoro impiegata le cose stanno in maniera drammaticamente diversa. Il settore pubblico, con un tasso generale del 33,9%, è l’unico con unions davvero forti un po’ ovunque. Sia nel pubblico impiego federale e statale che soprattutto in quello municipale, dove il tasso arriva a un lussuoso 40,3%. Nel pubblico impiego, naturalmente, ci sono categorie ad alta intensità di sindacalizzazione come vigili del fuoco, poliziotti e insegnanti. Questi ultimi, aggiungo io, si sono impegnati in scioperi importanti anche negli ultimi mesi.
Nel settore privato, invece, la percentuale generale è misera, il 6,4 per cento. Ci sono aree più sindacalizzate di altre, naturalmente, per esempio i trasporti e le utilities (vicine al 20%), e poi a scendere le telecomunicazioni, l’edilizia, l’istruzione e le cure sanitarie private, l’industria cinematografica e discografica (12,5%). Non spiccano, pur essendo superiori alla media, le industrie manifatturiere (9%). Restano al fondo della classifica, quasi a zero, le molteplici attività legate alla ristorazione, ai fast food, ai bar – malgrado, aggiungo io, alcune ondate di agitazioni, mobilitazioni e union drives degli ultimi anni.
Per ciò che riguarda le caratteristiche demografiche, gli uomini sono un poco più sindacalizzati delle donne, ma il gap storico si sta chiudendo. Grazie soprattutto, immagino, all’alto reclutamento femminile nel settore pubblico e nell’area dei servizi di cura. I neri sono un poco più sindacalizzati sia dei bianchi che delle altre minoranze etniche, ispanici e asiatici. Così lo sono i lavoratori più maturi e anziani over 45 rispetto ai più giovani. E certamente lo sono i lavoratori a tempo pieno rispetto a quelli part-time.
La distribuzione geografica (o geo-politica) delle unions è assai diversificata. Lo stato guida nei tassi di sindacalizzazione è, che ci crediate o no, quell’angolo di paradiso delle Hawaii con il 23,1%; a seguire New York con il 22,3% e poi Washington State, Alaska, Rhode Island e Connecticut, Minnesota. I buchi neri sono dove ognuno se li aspetta, nel profondo Sud con in testa le due Carolina. In numeri assoluti è invece la California a guidare la classifica, con 2,4 milioni di iscritti residenti. In effetti, più della metà degli iscritti ai sindacati vive in sette stati: California appunto, e poi New York, Illinois, Pennsylvania, Michigan, Ohio, e Washington State.
E infine i salari e gli stipendi. Be’, come sempre i lavoratori sindacalizzati, o che lavorano in aree sindacalizzate e sono coperti da contratti collettivi, guadagnano di più di quelli che invece no. La remunerazione mediana settimanale (lorda) per gli union members è, nel 2018, di 1051 dollari rispetto agli 860 dollari dei non-union; ed è aumentata un pochetto rispetto ai 1041 dollari del 2017. I valori sono relativamente più alti per gli uomini che per le donne, per i bianchi che per i neri e gli ispanici – ma attenzione, perché quelli degli asiatici sono i più alti di tutti. E attenzione ancora: questa gerarchia vale sia per union members che per non-union; è intrinseca al mercato del lavoro, e non sembra che i sindacati l’abbiano intaccata.
Comunque, come sempre e in ogni luogo, dal punto di vista delle remunerazioni (e anche da altri punti di vista qui non considerati) i sindacati fanno il loro mestiere. Di qualunque tipo siano, grandi o piccoli che siano, meglio che ci siano piuttosto che no.
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