International Women’s Day – Bread & Roses, by Queen Cee (Released 2010)
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Lo slogan è duro senza perdere una sua propria tenerezza. E’ stato usato come titolo mite di un articolo del nascente movimento femminista americano, nel 1969, su una rivista dal nome minaccioso di Leviathan. Ma poi l’articolo è stato ri-pubblicato come pamphlet con un nuovo durissimo titolo, What is the Revolutionary Potential of Women’s Liberation? Ha assunto l’andamento dolce della ballata nella canzone Bread and Roses, messa in musica nel 1976 da Mimi Fariña (nella foto qui sotto a sinistra), cioè Margarita Baez, la sorella più piccola di Joan Baez. Dove la dolcezza è anche nelle molte voci femminili che l’hanno interpretata, compresa quella soul della canadese Queen Cee, in una delle versioni più recenti (qui sopra). Ma è anche un duro slogan di lotta, intrecciato con la storia del femminismo contemporaneo della “seconda ondata” – e con la storia del suffragismo e delle agitazioni sociali di un tempo più antico.
Il testo della canzone (in calce a questo post) risale infatti a un secolo fa, al poema pubblicato nel 1911 dallo scrittore James Oppenheim, che attribuisce lo slogan “Bread for all, and roses, too” a certe misteriose “donne del West”. E’ da quei versi che, probabilmente, lo slogan si è diffuso nelle lotte operaie. Probabilmente – perché poche cose sono sicure in questa storia. C’è chi lo associa al lungo e drammatico sciopero di Lawrence, nel Massachusetts, dell’inizio del 1912: uno sciopero di lavoratori e lavoratrici tessili, e di immigrati. C’è chi ne ipotizza il primo uso da parte degli immigrati anarchici italiani, e in particolare del poeta e agitatore abruzzese Arturo Giovannitti, dirigente dello sciopero e dell’organizzazione radicale Industrial Workers of the World. C’è chi dice di averlo visto scritto sui cartelli dei picchetti. Ma sembra che non ci siano prove.
L’unica prova certa riguarda un discorso di Rose Schneiderman (nella foto sotto), immigrata ebrea polacca, socialista e riformatrice sociale, formidabile oratrice dai capelli rossi, formidabile sindacalista dell’industria dell’abbigliamento newyorkese. E suffragista. Ed è in quanto sindacalista e suffragista che nel giugno del 1912, di fronte a una platea di suffragiste middle-class o forse proprio ricche di Cleveland, in Ohio, Rose spiega il concetto: “Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere – il diritto alla vita così come ce l’ha la donna ricca, il diritto al sole e alla musica e all’arte. Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere. L’operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose. Date una mano anche voi, donne del privilegio, a darle la scheda elettorale con cui combattere”.
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James Oppenheim, Bread and Roses
(The American Magazine, December 1911)
As we come marching, marching in the beauty of the day,
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray,
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses,
For the people hear us singing: “Bread and roses! Bread and roses!”
As we come marching, marching, we battle too for men,
For they are women’s children, and we mother them again.
Our lives shall not be sweated from birth until life closes;
Hearts starve as well as bodies; give us bread, but give us roses!
As we come marching, marching, unnumbered women dead
Go crying through our singing their ancient cry for bread.
Small art and love and beauty their drudging spirits knew.
Yes, it is bread we fight for – but we fight for roses, too!
As we come marching, marching, we bring the greater days.
The rising of the women means the rising of the race.
No more the drudge and idler – ten that toil where one reposes,
But a sharing of life’s glories: Bread and roses! Bread and roses!
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Categorie:Cultura politica, Labor movement, Radicalism
Tag:Arturo Giovannitti, Bread and Roses, donne, femminismo, Il pane e le rose, International Women’s Day, James Oppenheim, Mimi Fariña, Queen Cee, Rose Schneiderman, sciopero, suffragismo