Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

L’ombra lunga della Guerra civile americana, quella dell’Ottocento: parole, dettagli, spie

Che l’ombra della Guerra civile, quella dell’Ottocento, con la maiuscola, quella dei nordisti in blu e dei sudisti in grigio, continui ad allungarsi sulla scena pubblica americana non è una novità. In certi casi recentissimi, tuttavia, non si tratta delle solite controversie sui monumenti al generale Robert E. Lee o sulla presenza di una battle flag confederata agli eventi insurrezionalisti del 6 gennaio. E neanche si tratta delle recriminazioni di destra su Black Lives Matter, o dei dolori di sinistra sull’insegnamento o non insegnamento della schiavitù nelle scuole della Florida. No, qui sono in ballo le chiacchiere dei candidati repubblicani alla presidenza, per quello che contano le chiacchiere, ma spesso contano, sono spie di qualcosa. E forse chissà, è in ballo il destino di uno di loro, il candidato principale, per quello che contano gli emendamenti alla Costituzione scritti in tempi di emergenza (difficile che contino davvero, e comunque, come diceva George Washington Plunkitt, che cosa è la Costituzione fra amici?). 

Cominciamo dalle chiacchiere.

L’altro giorno è stata Nikki Haley a fallire l’esame. Interrogata durante un forum elettorale sulle cause della Guerra civile, si è arrampicata sugli specchi, ha parlato di uno scontro sul ruolo del governo, su quello che il popolo possa o non possa fare, senza interferenze governative. Sollecitata ancora – “E’ sorprendente che nel 2023 lei non abbia menzionato la schiavitù” – ha risposto “Che cosa vuole che dica sulla schiavitù? Next question”. Il giorno dopo ha provato a rimediare, ma a rimediare il giorno dopo agli esami andati male sono buoni tutti. Ha dunque recitato un riassuntino da manuale di storia dicendo che, sì, c’entra anche la schiavitù, non l’aveva detto perché era troppo ovvio, l’aveva dato per scontato, perbacco. Soprattutto ha detto che a farle la domanda era stato un provocatore, un infiltrato democratico (probabilmente vero ma, via, è una scusa patetica).

L’impressione è che a Haley, lì per lì, la schiavitù proprio non sia venuta in mente. Che non si sia trattato di una omissione tattica, decisa consapevolmente, bensì di una rimozione strategica, la rimozione della schiavitù dalla narrazione della storia nazionale così come tanti conservatori se la raccontano fra sé e sé. La cosa paradossale è che a criticare severamente Haley per l’infortunio siano stati non solo i progressisti (che, si sa, son sempre lì a cercare il pelo nell’uovo) ma anche Ron DeSantis e Donald Trump che, se fosse per loro, della schiavitù meno se ne parla meglio è. Evidentemente ha potuto di più lo spirito di fazione, l’occasione di sparlare di una concorrente.

Qualche giorno dopo è stato Trump a rievocare la Guerra civile, in apparenza almeno senza alcuna provocazione, senza nominare Haley, chissà, anche lui rimuginando di suo nella sua testa. Brutta cosa è stata la guerra, ha detto, così tanti morti, così tanti errori… forse poteva essere “negoziata”, poteva essere evitata con qualche compromesso? Ma la perla è stata questa: “Naturalmente se Abraham Lincoln l’avesse negoziata, oggi probabilmente non si saprebbe nemmeno chi Abraham Lincoln fosse. Sarebbe stato presidente, ma sarebbe stato solo un presidente [qualsiasi], non sarebbe stato quell’Abraham Lincoln. Sarebbe stato diverso, ma ciò sarebbe stato OK comunque”. 

Ecco dunque a voi The Donald autore di The Art of the Deal, il suo manuale su come negoziare affari e vivere felice, anche in bancarotta, che incontra Trump il candidato presidenziale del partito che a lungo ha fatto di Lincoln il suo eroe fondatore proprio perché non fu un presidente qualsiasi. Il commento ostile è stato di Liz Cheney, arcinemica repubblicana di un’altra fazione, mi pare espulsa: “Quale parte della Guerra civile avrebbe potuto essere negoziata? La parte della schiavitù? La parte della secessione? Se Lincoln dovesse preservare l’Unione? Una domanda per i membri del G.O.P. – il partito di Lincoln – che hanno appoggiato Donald Trump: come potete difendere tutto questo?”

Questo sarebbe “il partito di Lincoln”, ha ricordato la perfida Cheney. 

E poi c’è la faccenda della Costituzione o meglio del suo Quattordicesimo emendamento che fu adottato subito dopo la fine della Guerra civile, nel 1868, per mettere fuori dal gioco politico elettorale quei funzionari pubblici, elettivi e non solo, che lasciarono il governo degli Stati Uniti per guidare una insurrezione. E che potrebbe essere riportato in vita per mettere fuori gioco proprio Trump.

La Sezione 3 dell’emendamento è una tipica norma transitoria di un dopo guerra civile. Dice che chiunque abbia prestato giuramento di difendere la Costituzione degli Stati Uniti e poi abbia “preso parte ad una insurrezione o ribellione contro di essa o abbia dato aiuto o sostegno ai suoi nemici” non potrà ricoprire certe cariche di governo. In effetti le vecchie cariche punite e le nuove vietate sono elencate con precisione. E’ punito chi abbia giurato e poi abbia tradito come membro del Congresso o come officer degli Stati Uniti, oppure, a livello statale, come membro delle assemblee legislative o come officer esecutivo o giudiziario. Costui non potrà essere senatore o rappresentante in Congresso, elettore del Presidente o del Vice-Presidente, occupare any office civile o militare degli Stati Uniti o di qualsiasi stato.

La carica di Presidente non è mai nominata. Per distrazione? Perché è stata volutamente ignorata? Perché rientra nella categoria generale degli officers degli Stati Uniti? Di recente, le autorità esecutive e giudiziarie di vari stati hanno dato interpretazioni contrastanti, forse settarie. A decidere se la norma costituzionale possa applicarsi a Trump, sarà chiamata la Corte suprema, essa stessa in odore di settarismo.

Comunque vada, lo spettro della Guerra civile di centocinquanta anni fa continua ad aggirarsi nel paese.

Aggiunta dell’ultimo momento. Condividendo sui suoi social media un post altrui, Trump ha messo in circolazione l’idea che Nikki Haley non possa diventare presidente perché nata da immigrati che non avevano ancora la cittadinanza. Haley non sarebbe quindi una “natural born citizen”, una cittadina fin dalla nascita, requisito che la Costituzione richiede per chi occupi la carica presidenziale (solo per quella). Idea avventata, senza fondamento, perché Haley, essendo nata nel territorio degli Stati Uniti, è automaticamente cittadina degli Stati Uniti dalla nascita. E chi stabilisce questo?

Ma la Sezione 1 del Quattordicesimo emendamento di cui sopra! Una norma scritta apposta per garantire la cittadinanza degli ex schiavi ora liberati – un altro prodotto, verrebbe da dire, di quella maledetta Guerra civile. 

(Che Trump stia cercando di giocare la “carta razziale” contro una persona di colore? Come fece contro Barack Obama, a suo tempo da lui accusato di essere nato all’estero, di aver falsificato il certificato di nascita? Nikki Haley rientra nella categoria, da nubile si chiama Nimarata Nikki Randhawa, i suoi genitori sono immigrati Sikh del Punjab. D’altra parte, che sia un buon segno proprio per Haley? Che Trump cominci a essere preoccupato, in vista delle primarie?)

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