Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Appunti. Clinton, Sanders e il futuro del partito democratico

hilary-clinton-1024In un articolo sul New Yorker di questa settimana, Ryan Lizza racconta la storia della grande divisione dentro il partito democratico, quella divisione che oggi si esprime nella competizione per la nomination fra Hillary Clinton e Bernie Sanders. Una storia nota che tuttavia Rizza, da buon cronista, conclude con alcune notazioni da insider, piuttosto interessanti. E che qui riassumo e copio.

La storia nota è questa (e la faccio breve, schematica, un po’ da promemoria). Fin dagli anni 1990s convivono all’interno del partito due tendenze. La prima è neoliberale: a favore della deregulation e del free trade, alleata di Wall Street e dei vincitori della new economy, ossessionata dall’abbassare le tasse e ridurre il deficit, preoccupata per il crimine e la riforma (al ribasso) del welfare. La seconda tendenza è “populista”: anti-Wall Street e pro-regulation, protezionista e industrialista, a favore della spesa pubblica, dell’espansione del welfare e di una tassazione più progressiva dei ricchi.

La divisione c’era ai tempi di Bill Clinton e contrapponeva, per fare qualche nome, l’ala neoliberale del ministro del tesoro Robert Rubin all’ala populista del ministro del lavoro, e vecchio amico di Bill, Robert Reich. E’ continuata sotto Obama, rappresentata da una parte dal ministro del tesoro filo-Wall Street Tim Geithner, e dall’altra dalla riformatrice anti-Wall Street Elisabeth Warren. Ancora oggi sia Reich che Warren esprimono l’ala “populista”, il primo appoggiando Sanders, la seconda con la sua attività di senatrice del Massachusetts che molti vedono come l’anti-Hillary. Mentre Hillary è circondata da allievi della scuola di Rubin.

Sanders e Clinton sono dunque l’incarnazione attuale di questa divisione e di questo scontro. Che avviene su questioni di sostanza, è formalmente meno sanguinoso di quello in campo repubblicano, meno volgare. Almeno lo scontro al vertice, diretto e personale fra i due protagonisti. Perché se si scende fra i loro rispettivi seguaci, nelle loro fanzine e sui social media, i toni non hanno nulla da invidiare a un Trump qualsiasi. Per i Sanderistas, Hillary è sostanzialmente una poco di buono: bugiarda cronica, inaffidabile, corrotta fino al midollo, nelle tasche del grande capitale. Per gli Hillaristas, Bernie è un intruso, un free rider, uno che sfrutta per i propri scopi un partito che non è il suo.

Lo scontro andrà avanti fino alla fine della stagione delle primarie, fino alla national convention di luglio a Filadelfia. Perché? Qui subentra il lavoro di cronista di Lizza. Secondo le sue informazioni, Sanders non ha alcuna intenzione di mollare, di ritirarsi, qualunque cosa accada, per almeno due motivi intrecciati fra loro.

Il primo motivo è chiaro, per pretendere e ottenere concessioni programmatiche. Bernie ha già costretto Hillary a parlare più duramente delle banche, ad abbandonare il pieno appoggio alle iniziative free-trade tipo Nafta o TPP, a pentirsi delle leggi anti-crimine dei tempi di Bill. Inoltre vuol dare rilevanza nel dibattito congressuale alle cose che più lo interessano. Free trade, controllo della finanza, diseguaglianze sociali e disfunzioni del sistema politico sono questioni che resteranno al centro della politica anche dopo la fine del ciclo elettorale. Su di esse Sanders si è conquistato una voce autorevole e intende costruire un movimento.

Il secondo motivo, dice Lizza, è più delicato, nessun democratico ama parlarne, neanche Sanders. Ma tutti in realtà ne parlano e sono preoccupati, anche agli alti livelli della party leadership. La preoccupazione riguarda la vulnerabilità politica di Clinton. C’è un’indagine in corso sullo scambio di informazioni riservate che Hillary fece, da segretario di stato, tramite email personali. L’FBI sta interrogando i suoi aiutanti e potrebbe interrogare anche lei. Un suo aiutante ha fatto appello al Quinto emendamento (non risponde alle domande per non auto-incriminarsi) e si parla di una sua richiesta di immunità. Tutto ciò non è tranquillizzante.

Sanders attende gli sviluppi – ma rifiuta di attaccare Clinton su di essi. L’ha rifiutato fin dall’inizio e continua a farlo. Malgrado i suoi collaboratori siano dispiaciuti di non poter usare un argomento tanto appetitoso. E anche molti dirigenti democratici siano sorpresi, in privato, che non venga usato. Se Hillary dovesse avere la nomination, sono sicuri che i repubblicani ci andrebbero a nozze. Interrogato esplicitamente in proposito, Bernie dice a Rizza, “Capisco che i commentatori politici stiano svegli la notte sperando e pregando che possa diventare un Donald Trump, perché loro amano Donald Trump”. C’è un procedimento legale in corso, che faccia il suo corso.

La faccenda è un po’ più sofisticata. In effetti Sanders è diventato più aggressivo nei suoi attacchi, ma vuole attaccare Clinton per le sue posizioni politiche, non per gli scandali. Il suo calcolo è di lungo periodo, e rientra nel progetto che abbiamo già visto: formare un movimento che continui il suo lavoro, influenzare una generazione di giovani democratici cresciuti post-clintoniani e interessati a riformare il sistema. Bernie si dice orgoglioso di aver plasmato il discorso politico dentro il partito, di aver fatto diventare il suo messaggio, che sembrava eccentrico, il mainstream con cui tutti devono misurarsi. Orgoglioso di avere messo le issues da lui sollevate al centro della conversazione, e anche dell’azione.

Categorie:campagna elettorale, Sistema politico

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