Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Guerra, l’ombra permanente nella storia americana (Marilyn Young 2012)

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In un documento che non riesco a ritrovare ma che è citato nei suoi necrologi, Marilyn Young (1937-2017) ricorda che fin dalla sua infanzia gli Stati Uniti sono stati in guerra – “e le guerre non erano davvero limitate e non erano neanche fredde e in molti posti non sono mai finite, in America latina, in Africa, in tante aree dell’Asia”. Diventata un’autorevole storica delle relazioni internazionali, insegnante prestigiosa alla New York University, autrice del notissimo The Vietnam Wars (1991, dove il plurale “wars” è il termine chiave), qualche anno fa è stata eletta presidente della Society for Historians of American Foreign Relations e, da presidente, ha tenuto il suo Presidential Address che comincia così: “Mi rendo conto di aver passato gran parte della mia vita come insegnante e studiosa a pensare alla guerra e a scriverne”.

Questo è l’inizio della conferenza, pubblicata per intero come Marilyn B. Young, «“I was thinking, as I often do these days, of war”: The United States in the Twenty-First Century», Diplomatic History (gennaio 2012). Una copia si trova qui.

Mi rendo conto di aver passato gran parte della mia vita come insegnante e studiosa a pensare alla guerra e a scriverne. Sono passata da una guerra all’altra, dalla guerra del 1898 e dalla partecipazione americana alla spedizione contro i Boxer e alla guerra civile cinese, alla guerra del Vietnam, e poi indietro alla guerra di Corea, e ancora più indietro alla Seconda guerra mondiale e di nuovo avanti alle guerre della fine del ventesimo secolo e dei primi del ventunesimo. All’inizio, ho scritto di tutte queste guerre come se la guerra e la pace fossero fasi distinte: c’è l’anteguerra, la guerra, la pace, il dopoguerra. Man mano che passava il tempo, questa sequenza di guerre mi è sembrata sempre di meno una sequenza e sempre di più una continuazione: come se fra una guerra e la successiva il paese rimanesse in sospeso e in attesa. L’ombra della guerra, come l’ha chiamata quindici anni fa Michael Sherry, sembra non essere affatto un’ombra bensì una cosa ben sostanziale: la sostanza della storia americana.

Il tema delle guerre americane non è nuovo, e negli anni recenti è diventato un tema permanente. Penso che occuparsi della guerra sia una buona cosa per uno storico della politica estera americana. Penso che sia nostro compito permanente rendere la guerra visibile, vivida, una parte inevitabile dell’autocoscienza del paese, un tema inevitabile negli studi almeno quanto lo è nella realtà.

La permanenza della guerra e la sua altrettanto costante rimozione sono intimamente connesse al perseguimento e al mantenimento di un impero americano altrettanto rimosso. Come le famiglie infelici di Tolstoy, le nazioni sono imperiali ciascuna a sua modo, e ciascun modo ha il suo eufemismo. Gli eufemismi cambiano nel tempo, così come cambia la natura dell’impero. Nel diciannovesimo secolo la descrizione preferita era espansione, almeno fino a comprendere l’espansione attraverso il Pacifico. Dalla metà del ventesimo secolo è stata la creazione di un ordine mondiale liberale capitalista che, come spiegò una volta Dean Acheson, avrebbe “aiutato i popoli che credono in quello in cui crediamo noi, a continuare a vivere nel modo in cui vogliono vivere”. Sia nel ventesimo secolo che in questo, il dispiegamento della potenza americana è stato equiparato, da tutte le amministrazioni, da molti commentatori e da alcuni storici, ai fondamentali e universali valori della libertà e della democrazia.

In altre parole, in tutti e tre i secoli il perseguimento dell’impero è stato di solito accompagnato dalla negazione che gli Stati Uniti fossero o potessero essere un impero, e che la politica americana fosse imperialista. Oppure, nel caso ciò fosse riconosciuto, si diceva, nelle parole dello storico John Lewis Gaddis, che l’impero costruito dagli americani era “un nuovo tipo di impero – un impero democratico – per la semplice ragione che essi erano, per abitudini e storia, politicamente democratici”.

Pur non sentendosi un impero, gli Stati Uniti hanno combattuto guerre imperiali. La guerra del 1898, nel momento in cui divenne una guerra di occupazione e colonizzazione fu dapprima contestata vigorosamente e poi ricordata come una aberrazione – come un episodio unico nel suo genere e non come l’inizio di un impero americano d’oltremare. Questa memoria distorta ha raggiunto un picco rimarchevole quando George W. Bush ha parlato al parlamento filippino nell’ottobre 2003 e ha dichiarato che l’America era “orgogliosa della parte che aveva avuto nella grande epopea del popolo filippino. Insieme i nostri soldati hanno liberato le Filippine dal giogo coloniale” – cancellando così anni di guerra di controguerriglia.

Le guerre imperiali americane non sono finite a Manila il 4 luglio 1902, ma sono continuate fino a oggi. Questo pomeriggio voglio parlare di alcune di queste guerre: le guerre calde della Guerra fredda, Corea e Vietnam, le piccole guerre omeopatiche che sono venute dopo il Vietnam, la stato attuale di guerra permanente. Parlerò soprattutto del modo in cui l’opinione pubblica è stata convinta a considerare la guerra piuttosto che la pace come lo stato normale delle cose.

Categorie:Guerra

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