Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Impero, il nome che gli americani non osano pronunciare (Walter Lippmann 1927)

Schermata 2017-12-11 alle 19.08.18Nel tempo del declino dell’impero americano, conviene leggere quello che diceva il giornalista Walter Lippmann nel tempo in cui l’impero era in formazione, così giovane che gli americani esitavano a dirne il nome (in molti hanno continuato a esitare fino a oggi, per la verità).

Il senso generale del discorso di Lippmann, nell’articolo del 1927 “Empire: The Days of Our Nonage are Over”, è che l’opinione pubblica degli Stati Uniti, ma anche il personale politico e quello diplomatico, non sono consapevoli del ruolo imperiale del paese e quindi non sono preparati a gestirlo, non ne sanno abbastanza, non hanno competenze sufficienti per il compito. Ragion per cui nei paesi sotto l’influenza yankee, a interferire con più vigore sono piuttosto gli interessi economici, spesso combinando pasticci – finché, aimé, la situazione “raggiunge un climax in cui bisogna usare i marines”. Il rimedio consiste nel prendere consapevolezza del ruolo, crescere, uscire dalla minore età, attrezzarsi culturalmente ed elaborare una seria politica estera che prevalga sugli interessi particolari. Accettando anche, da adulti, di usare la parolaccia “impero”.

(Qui ci sono toni che ricordano quelli usati qualche anno dopo da Henry Luce nel suo celebre articolo del 1941, “The American Century”. Sembra certo che Luce fosse ispirato da Lippmann, il quale a sua volta lodò molto l’articolo di Luce.)

Tutto il mondo pensa oggi gli Stati Uniti come un impero, eccetto gli abitanti degli Stati Uniti. Noi ci ritraiamo di fronte alla parola “impero”, e insistiamo che non dovrebbe essere usata per descrivere il dominio che esercitiamo dall’Alaska alle Filippine, da Cuba a Panama, e altrove. Siamo convinti che dovrebbe esserci un altro nome per il lavoro di civilizzazione che così riluttantemente facciamo in questi paesi arretrati. Penso che la riluttanza sia genuina. Sono moralmente certo che una stragrande maggioranza dei nostri concittadini non desideri governare altri popoli, e che non ci sia alcuna ipocrisia nelle proteste addolorate che si levano ogni volta che un latino-americano o un europeo parla di noi come imperialisti. Non ci sentiamo imperialisti nel senso che diamo a quella parola. Non siamo consapevoli di avere desideri espansionisti come quelli che i fascisti, per esempio, proclamano quotidianamente. Abbiamo imparato a pensare gli imperi come minacciosi e immorali, e ammettere che abbiamo un impero continua a sembrare a molti americani come ammettere che ci siamo avventurati in un mondo malvagio e vi abbiamo perso la verginità politica.

Il fatto è che gli stranieri prestano poca attenzione a quello che diciamo. Osservano piuttosto quello che facciamo. Noi, da parte nostra, pensiamo a quello che percepiamo. E il risultato è che siamo impegnati a creare ciò che l’intera umanità chiama un impero mentre continuiamo a crede del tutto sinceramente che non si tratti di un impero perché non lo percepiamo come quella cosa che immaginiamo dovrebbe essere un impero.

Nella sostanza noi controlliamo la politica estera di tutti i paesi caraibici; non ce n’è uno che possa stabilire serie relazioni diplomatiche con altri paesi senza il nostro consenso. Controlliamo le relazioni fra di loro, come si è dimostrato di recente, quando il dipartimento di Stato ha reagito con indignazione al fatto che il Messico avesse riconosciuto un presidente del Nicaragua mentre noi ne avevamo riconosciuto un altro. Esercitiamo un potere di vita e di morte sui loro governi nel senso che nessun governo può sopravvivere se rifiutiamo di riconoscerlo. In molti di questi paesi contribuiamo a decidere i risultati di ciò che essi chiamano le loro elezioni, e non esitiamo, come abbiamo fatto di recente in Messico, a dire loro che tipo di costituzione dovrebbero avere.

Qualunque nome si scelga di dargli, questo è ciò che il mondo chiama un impero, o almeno un impero in formazione. Pur ammettendo che la parola abbia una connotazione sgradevole, sembra proprio che sia arrivato il tempo di guardare l’intera faccenda dritta in faccia e di smetterla di ingannare noi stessi.

Non ci può essere alcun rimedio a questi problemi finché gli americani non si decideranno a riconoscere che essi non sono più una repubblica verginale in un mondo malvagio, ma sono piuttosto una potenza mondiale, e una delle più straordinarie che siano apparse nella storia dell’umanità. Quando avranno accettato questa verità, l’avranno digerita e valutata e misurata, allora metteranno da parte le vecchie frasi che nascondono la realtà, e da nazione compiutamente adulta cominceranno a prepararsi al ruolo a cui sono obbligati dal loro potere e dalla loro posizione.

Categorie:Impero

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