Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Workers of All Colors Unite. I socialisti americani di fine Ottocento e la questione della razza

Recensione di Lorenzo Costaguta, Workers of All Colors Unite. Race and the Origins of American Socialism(University of Illinois Press, 2023), per Ricerche di Storia Politica (dicembre 2023).

Negli Stati Uniti di fine Ottocento, nella Gilded Age del decollo industriale e della Questione sociale, le relazioni capitalistiche di produzione si razzializzarono. L’abolizione della schiavitù creò un proletariato di discendenza africana, le migrazioni transtlantiche portarono etnìe diverse per nazionalità e religione, la presenza di comunità asiatiche e Native American complicò il quadro. Nacque la prima estesa classe operaia multietnica e multirazziale del nostro mondo contemporaneo. La prima, non l’unica, altre ne seguirono nel Novecento, in Europa e nella diaspora europea, e ciò rende ancora più rilevante e di ampio respiro l’interrogativo storico che Lorenzo Costaguta si pone in questo eccellente lavoro. E cioè: come i socialisti americani che in mezzo a quei cambiamenti vissero e agirono, risposero alla sfida; come declinarono l’intreccio  fra razza e classe. 

Un socialismo americano esisteva, e questa non è una novità. Un piccolo movimento come in Europa e altrove, improntato alla critica marxista del capitalismo e organizzato in partito, distinto dai gruppi laburisti o populisti o di repubblicanesimo radicale che esprimevano critiche di altro tipo. Un socialismo che era esso stesso parte della varietà etnica e razziale del paese, quasi tutto bianco e molto europeo: a quei tempi, commenta Costaguta, il socialismo americano era pensato, detto e scritto in tedesco; per lo sconcerto, aggiungerei, di Eleanor Marx e Edward Aveling che, in un loro viaggio oltreatlantico, non si capacitarono di come i compagni di là potessero pensare di diffondere il verbo usando una lingua straniera. Tale era il carattere del Socialist Labor Party (SLP) che fu la principale casa comune dal 1876-77 fino al rimescolamento delle carte di fine secolo e alla nascita nel 1901 del Socialist Party of America di Eugene Debs. 

Fu dentro e intorno al SLP che si sviluppò il dibattito su razza e classe, un dibattito fra due correnti di pensiero. Una corrente di “scientific racialism”, popolare fra gli iscritti di lingua tedesca, rifletteva la convinzione pseudoscientifica che esistessero razze distinte e gerarchicamente ordinate; di ciò bisogna tener conto, si diceva, non per abbandonare i principi di eguaglianza ma per realizzarli meglio. Di contro c’era una corrente “internazionalista”: le divisioni etniche e razziali non contano, si diceva, conta solo l’appartenenza di classe, lì c’è la chiave dell’unità operaia. Il risultato del dibattito fu, nell’ultimo decennio del secolo, la scomparsa graduale del razzialismo scientifico e l’emergere di una prospettiva internazionalista English-speaking, più duttile, fondata sulla classe ma non color-blind, consapevole della razza – che poi divenne più o meno il credo del socialismo americano nel Novecento.

Lo studio di Costaguta si colloca all’incrocio fecondo fra la storia istituzionale e intellettuale, da una parte, e la storia multiculturale e gli studi sulla whiteness. Quindi ci dice molto sul partito e sui fine points delle sue dispute, ma anche sul carattere bianco del discorso pubblico, compreso quello del radicalismo operaio. Anche fra i socialisti, a discutere di razza, in particolare della condizione dei cittadini neri, erano attivisti bianchi che guardavano da fuori e dall’alto, con approcci teorici astratti, paternalistici (la Negro Question). La membership nera era inesistente, di dirigenti di colore sembra essercene stato solo uno, e per breve tempo (a Cincinnati). In luoghi importanti (a St.Louis) ci fu l’esplicito rifiuto socialista, con argomenti razzisti, di collaborare con gli attivisti neri. I socialisti bianchi nel Sud avevano i loro problemi. Tutto ciò era, mettiamola così, un serio limite della discussione.

Comunque la conclusione di Costaguta è ben documentata e argomentata: non è vero che i socialisti americani, con tutti i loro limiti, non presero sul serio la questione della razza, come vorrebbero certi luoghi comuni storiografici. Anzi, proprio questa questione e quindi la questione della specificità della classe operaia americana fu uno dei cuori pulsanti dell’origine del loro movimento. Fra l’altro, la specificità americana di allora, multietnica e multirazziale,  che un secolo dopo divenne la normalità di molte classi operaie, europee e non solo, renderebbe utile fare i conti più diffusamente con la domanda di Werner Sombart, Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo? (1906). Non in chiave teorica dottrinaria; ha ragione Costaguta, bisogna liberarsi della “ossessione” di ciò che manca. Ma in chiave comparata di ciò che storicamente c’è stato: in paesi consimili, capitalistici e democratici, perché la rappresentanza politica operaia ha preso strade diverse, socialiste oppure no, di classe o interclassiste, unitarie o frammentate? Le dispute americane sulla razza nella Gilded Age potrebbero avere suggerimenti utili a comprendere il secolo successivo, in America e altrove.

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