Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Primarie democratiche 2016: da che parte stanno i sindacati?

maxresdefaultI sindacati americani, sia quelli della grande confederazione AFL-CIO che quelli indipendenti, sono quasi tutti – quasi sempre – sostenitori del partito democratico. Ne sono una risorsa importante. Appoggiano ufficialmente i suoi candidati alle cariche pubbliche, donano soldi alle loro campagne elettorali, mobilitano a loro favore gli iscritti e i militanti. Lo fanno anche nelle primarie, schierandosi per i contendenti alla nomination. E ora che cominciano le primarie presidenziali, hanno il problema di due aspiranti qualificati alla loro interessata benevolenza.

Hillary Clinton e Bernie Sanders godono entrambi di ottimi punteggi nelle schede con cui le unions valutano i politici sui temi che a loro interessano. Sanders, in verità, ha un punteggio un po’ più alto di Clinton, visto che quest’ultima ha a lungo esitato a opporsi, dopo averlo appoggiato come Segretario di stato, al trattato di libero scambio del Pacifico (la Trans-Pacific Partnership o TPP), a cui i sindacati sono contrarissimi. Ma insomma, Hillary è un’alleata di lunga data, ha solidi legami con l’establishment, appare più eleggibile e capace di portare a casa risultati. E sta vincendo la gara. Si muove, in effetti, come una corazzata.

Hillary ha già l’endorsement degli organi dirigenti di alcuni dei sindacati più grandi e potenti. Gli insegnanti della American Federation of Teachers e della National Education Association, che insieme fanno quasi 5 milioni di iscritti. Gli impiegati pubblici statali e locali della American Federation of State, County and Municipal Employees (AFSCME) e quelli federali della American Federation of Government Employees, che fanno altri 2,3 milioni di iscritti. E poi i lavoratori dell’edilizia (3 milioni), dei servizi nel settore privato (2 milioni), del commercio al dettaglio (1,3 milioni) e di un’altra dozzina di organizzazioni.

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Le decisioni dei dirigenti nazionali non sono state sempre tranquille. I sondaggi degli iscritti segnalano l’esistenza di una larga minoranza, spesso un terzo, di preferenze per Sanders. E talvolta ci sono stati sospetti di manipolazione dei sondaggi stessi; la loro trasparenza, accuratezza, affidabilità sono state contestate. In ogni caso le sezioni statali e locali non sono vincolate; sono libere di comportarsi come meglio credono, e alcune hanno usato questa libertà per prendere decisioni difformi. Bernie ne approfitta per ripetere che, certo, la union leadership sarà anche con Hillary, ma la base, il rank-and-file è con lui.

Anche Sanders, comunque, ha la sua dose di endorsements formali, nazionali, da parte di unions più militanti e progressiste. La Communications Workers of America (700.000 iscritti nel settore dei media), il cui recente ex presidente è ora un top adviser della sua campagna elettorale. L’American Postal Workers Union (250.000 iscritti) che apprezza la sua battaglia contro la privatizzazione delle poste e a favore del postal banking. La National Nurses United, 185,000 infermiere – sì, sono in larghissima parte donne – che sono all’offensiva nell’organizzare gli ospedali soprattutto della West Coast. E poi, anche qui, altri sindacati minori.

Bernie Sanders & National Nurses United

Bernie Sanders & National Nurses United

Non tutti si sono già pronunciati. La United Automobile Workers (400.000 membri attivi e 600.000 pensionati) ne sta ancora discutendo. E così stanno facendo i Teamsters (1,3 milioni), con la loro storia complicata di vecchi sostenitori di Reagan e Bush padre negli anni ottanta, poi di Bill Clinton e di Obama, e di candidati democratici e repubblicani “senza distinzione di affiliazione partitica”. Il premio più ghiotto da vincere, naturalmente, è l’endorsement dei vertici confederali della AFL-CIO; ma questo, sembra di capire, dovrebbe avvenire più tardi, magari anche a primarie inoltrate. Con prudenza, si aspetta che si chiariscano le cose.

I sindacati sono piuttosto ricchi e spendono ingenti somme nelle campagne elettorali, e anche per questo sono desiderati. Spendono, come diceva Samuel Gompers, il fondatore della AFL alla fine dell’Ottoccento, per “punire i nemici e premiare gli amici”. Nel ciclo elettorale federale (presidenziale e congressuale) del 2012 hanno donato più di 140 milioni di dollari – che, per il 90%, sono andati a comitati, gruppi e candidati appartenenti all’area liberal dei democratici. Tanto per fare un paragone: gli interessi finanziario-assicurativi hanno donato nello stesso ciclo elettorale quasi 700 milioni, andati per il 70% verso i repubblicani.

Fra l’altro, è bene ricordare una cosa. La decisione della Corte suprema Citizens United (2010) è celebre per aver liberalizzato il flusso di denaro che le corporations possono incanalare nelle campagne elettorali. La sentenza dice che il denaro è un mezzo di espressione della libertà di parola, che regolarne l’uso viola un diritto sancito dal Primo emendamento, e che godono di quel diritto non solo le persone ma anche le associazioni di persone – le quali possono spendere a piacimento in comunicazione elettorale pro o contro chi a loro piaccia. Ma attenzione: le associazioni non sono solo le corporations, ma anche i gruppi no-profit e, appunto, i sindacati. I quali, quindi, nel loro (non tanto) piccolo, per la loro buona causa, hanno potuto unirsi alla gran festa.

In effetti, nel complesso, il labor movement americano non sta tanto bene. Vive un declino storico: raccoglie appena l’11% dei lavoratori dipendenti salariati e stipendiati, rispetto al 20% di trent’anni fa. Il declino è dovuto soprattutto al settore privato, oggi a circa il 7%, dove restano dinamiche solo le unions nel campo dei servizi e della ristorazione. Nel settore pubblico la percentuale è molto maggiore, intorno al 40%, ed è in moderata crescita. Dei quasi 15 milioni di iscritti ai sindacati la metà è fatta di impiegati delle pubbliche amministrazioni e dei sistemi scolastici che, come si è appena visto, sono stati assai lesti a schierarsi nella contesa elettorale – quasi sempre con l’amico ritenuto più forte, cioè Hillary.

Anche perché il movimento sindacale è sotto attacco politico, e di amici forti ha tanto bisogno. Si sono diffuse le cosiddette right-to-work laws – che, malgrado il loro nome possa suggerire altro, sono leggi anti-sindacali: proteggono il diritto degli individui a non pagare in maniera automatica le quote di iscrizione alle unions, e a lavorare con contratti individuali fuori e contro la contrattazione collettiva. Sono tipiche degli stati conservatori del Sud e dell’Ovest ma sono ora arrivate, sull’onda dei successi repubblicani, anche in Michigan e Wisconsin. Un caso legato a queste questioni è in discussione di fronte alla Corte suprema. Una decisione, di potenziale di enorme rilevanza, è attesa fra qualche mese.

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Categorie:campagna elettorale, Labor movement

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