Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

La paralisi del governo federale e i vincoli della questione razziale

rab_012412_onpageIl governo federale non funziona? Camera, Senato, Presidente – hanno agende inconciliabili? Nessuno dei due partiti è in grado di attuare il suo programma? Ogni compromesso sembra impossibile, o è considerato un tradimento? In politica interna così come in politica estera? C’è la paralisi, il gridlock? E’ forse colpa del ceto politico, spaccato o, come si suol dire, polarizzato secondo rigide linee ideologiche e partitiche? C’è anche questo. Democratici e repubblicani a Washington non sono mai stati così distanti politicamente, sia al Senato che alla Camera, soprattutto a causa della svolta a destra dei repubblicani. Non sono d’accordo su niente. E siccome i moderati o centristi sono evaporati, e ciascun partito controlla un ramo del Congresso, si elidono a vicenda – e bloccano l’azione della Casa bianca. Questa distanza, tuttavia, non è artificiale, non deriva dalla cieca partisanship di una casta auto-referenziale, separata dal mondo. Rispecchia piuttosto la profonda frattura che c’è nell’elettorato, cioè nella società americana, da cui gli eletti ovviamente dipendono. E la frattura ha molto a che fare con le nuove dimensioni che ha assunto la questione etnico-razziale.

Gli elettori dei due partiti, negli ultimi decenni, hanno acquisito caratteristiche geografiche, razziali, culturali e ideologiche nettamente distinte. Gli eletti democratici tendono a rappresentare constituencies regionali e sociali composte in gran parte di cittadini afro-americani, ispanici, asiatici e altri non-bianchi di recente immigrazione; e di quella minoranza di cittadini bianchi di origine europea che è secolarizzata e ha idee liberal sul ruolo e le dimensioni dello stato e su social issues come l’aborto e i diritti degli omosessuali. Gli eletti repubblicani, al contrario, dipendono ben poco da cittadini di questo tipo; rappresentano piuttosto constituencies molto bianche, conservatrici, anti-statiste (per esempio, sulla riforma sanitaria) e che danno molta importanza alla religione. In entrambi i casi, gli elettori più informati e attivi, quelli che partecipano, votano alle primarie, interagiscono con gli eletti, e che quindi più influenzano il processo politico, sono ancora più polarizzati fra loro, più estremi, dell’elettorato generale. Le differenze fra le due coalizioni sono dunque grandi – e in aumento. Gli scontri, e le impasse, a Washington le rispecchiano piuttosto accuratamente.

La nuova questione etnico-razziale ha un ruolo cruciale in questa storia. La quota non euro-bianca della popolazione è cresciuta molto dagli anni 1980s, a causa di più alti tassi di natalità e dell’immigrazione. E così è cresciuta la corrispondente quota dell’elettorato: dal 13% nel 1992 al 28% nel 2012. A trarne massimo beneficio sono stati i democratici: nel 2012 i loro elettori sono stati per quasi la metà (44%) non euro-bianchi, da un quinto (19%) che erano nel 1992. Mentre i repubblicani hanno raccolto poco in quest’area: dal 5% del loro elettorato nel 1992 all’11% del 2012. E attenzione, questi numeri si riferiscono alle elezioni congressuali, non presidenziali, e quindi non sono direttamente influenzati dalla candidatura di Barack Obama. In California e Texas i non-euro-bianchi sono già la maggioranza dei democratici; è probabile che entro dieci anni lo siano anche nel paese. La crescente dipendenza del partito democratico da queste constituencies ha contribuito a una ulteriore fuga dei bianchi conservatori verso il partito repubblicano. La divaricazione etnico-razziale, e quindi per molti versi la contrapposizione politica e ideologica, fra i due partiti si è ulteriormente accentuata.

Ricavo questi dati e alcune di queste considerazioni, che immagino discutibili e discusse, da un recente paper del politologo Alan Abramowitz, basato sulle ricerche pubblicate nel suo volume, The Polarized Public?: Why American Government Is So Dysfunctional (2012). Abramowitz estende l’analisi alla vita politica negli stati, e propone alcune ricette per curare i problemi della vita politica federale. Non lo seguo su questo terreno. Concludo solo con una citazione da uno degli ultimi capitoli del suo libro, in cui sottolinea l’impatto che questi sviluppi etnico-razziali hanno avuto sulla novità più radicale nata nell’alveo repubblicano, cioè il movimento del Tea Party: che ha molto condizionato il partito e quindi le peripezie della presidenza Obama, in reazione alla quale esso è nato: “l’ascesa del Tea Party movement è stata un prodotto diretto della crescente polarizzazione razziale e ideologica dell’elettorato americano. Il Tea Party ha trovato sostegno, in maniera sproporzionata, fra i repubblicani più fedeli che erano anche bianchi, conservatori, e molto turbati dalla presenza di un uomo nero alla Casa bianca – un uomo nero i cui sostenitori sembravano molto diversi da loro”.

Categorie:Barack Obama, Cultura politica, Elezioni, Immigrazione, partiti

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