Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Le tribolazioni di una democrazia costituzionale

Obama-Putin1_2592981bUn pasticcio diplomatico, quello sulla Siria? Una brutta figura, un fallimento di Obama? Un trionfo di Putin? Di Assad? Obama più debole, un’anatra zoppa per il resto del suo mandato? Gli Stati Uniti più deboli? Traduco qui (velocemente) alcuni passaggi del commento di Timothy Egan, A Brilliant Mess, pubblicato sull’edizione online del New York Times del 12 settembre. Un giudizio non-convenzionale – che non dice tutta la storia? Un giudizio auto-indulgente, «eccezionalista»? Forse. Ma anche un giudizio che sottolinea una parte importante della storia sulla quale avevo intenzione di scrivere anch’io qualcosa del genere – se già non l’avesse fatto, a modo suo, Egan.

Timothy Egan, Un brillante pasticcio (12 settembre 2013)

Dopo una sconcertante ostentazione di chiacchiere, confusione ed errori da parte della solitaria superpotenza del mondo, sembra che uno stato-canaglia sia pronto a rinunciare alle armi chimiche che diceva di non avere. Senza che sia stato sparato un colpo. Ciò, naturalmente, è un miserabile fallimento agli occhi della classe volatile e bizzosa dei dilettanti allo sbaraglio, perché, be’ – perché non era nei piani.

Come si possono avere 10 giorni che sconvolsero il mondo, senza l’accurata preparazione, mossa dopo mossa, dei mandarini dell’intrigo geopolitico? La risposta è proprio nella cosa che il mio collega-per-un-giorno, il presidente della Russia Vladimir V. Putin, ha denunciato nel suo commento [sul New York Times] di giovedì scorso – l’eccezionalismo americano.

Non è stato molto notato, ma il presidente Obama si è preoccupato di sottolineare lo speciale onere della «democrazia costituzionale più vecchia del mondo». Ha usato queste parole due volte – una prima volta quando ha deciso di consultare il Congresso sull’intervento in Siria, e poi ancora nel discorso di martedì sera al paese.

Questa democrazia, in tutta la sua cacofonia pasticciona, imprevedibile e incoerente, è stata là in mostra davanti a tutto il mondo durante l’impasse di settembre. Ha avuto aspetti incredibili da thriller – gli ultra-conservatori di destra che parlano all’unisono con i peacenicks di sinistra. Ha avuto aspetti comici – John McCain che gioca a poker sul cellulare mentre il Congresso dibatte un intervento militare. In gran parte non è stato un bello spettacolo. Questo è ciò che accade quando a 535 rappresentanti eletti è dato un ruolo effettivo in politica estera.

Il risultato netto, casuale o no, è che la Siria non è più solo un problema americano. Dicono che rinunceranno ai gas tossici che, ammiccano, non sono mai stati usati. Il principio che, come ha detto Obama, «con uno sforzo e un rischio modesto possiamo impedire che dei bambini siano gassati a morte» – è stato affermato di fronte a un mondo che preferiva guardare altrove. E, in aggiunta: i guerrieri neocon sono spariti, rimasti senza casa in entrambi i partiti. Tutto ciò è un passo avanti enormemente positivo rispetto a dove eravamo una settimana, un mese, o un anno fa.

Ma i risultati non contano per coloro che sono ossessionati dal pensiero di chi ha vinto e chi ha perso, coloro che vedono la politica come un gioco su chi sale e chi scende – invece che come uno scontro di idee che hanno conseguenze nella realtà. Così la settimana appena trascorsa è stata incasellata nei soliti termini della lotta quotidiana per conquistare la supremazia di un soundbite. E’ una debacle. Una cantonata. Una umiliazione. «Questa diplomazia ondivaga», ha detto Reince Priebus, il presidente del partito repubblicano, «ha imbarazzato l’America sul palcoscenico del mondo». […]

Sarebbe bello pensare che ciò che è successo sia stato il frutto di un piano segreto, lo sviluppo di un’idea che era stata presentata a Putin al summit economico di San Pietroburgo. Ma non ci sono prove che sia andata così. Obama, il più prudente dei presidenti, ha optato per la diplomazia mentre era in corsa, e in pubblico – qualcosa che si suppone non si dovrebbe mai fare. Ha lasciato che ogni ministro degli esteri improvvisato dicesse la sua.

«Se questa fosse una partita di tennis, sentiremmo il giudice di gara urlare “vantaggio per Putin”», ha detto [il senatore repubblicano Rand] Paul, sempre alla ricerca della battura tagliente e memorabile. […] In verità, è svantaggio Putin. Ora è lui che deve dar seguito alle sue parole che farà da mediatore in un accordo, per costringere la Siria a rinunciare all’arsenale chimico. Essendosi messo al centro della scena, deve cominciare ad agire come un cittadino globale, invece che come un teppista con dei compari petrolieri. Ed è svantaggio mondo, visto che i 188 stati firmatari del trattato per la messa al bando delle armi chimiche non possono più lasciare la patata bollente solo agli Stati Uniti.

Nella confusione della democrazia, nel ribollire della libertà di parola e discussione, si suppone che emergano le idee migliori. Questa è la teoria, insegnata a scuola dai tempi di Thomas Jefferson. Sembra che, per ora, l’idea migliore sia emersa – un percorso per togliere i gas tossici dalle mani di un killer di massa, senza azioni militari americane. E se Obama si è mosso a tentoni, se appare incerto, debole, titubante, genuinamente turbato nel cuore e nella mente, va bene così. E’ quello che succede quando la più antica democrazia costituzionale del mondo si comporta all’altezza del suo nome.

Categorie:Barack Obama, costituzione, Politica estera

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