Il testo è basato su una scheda recensione preparata per la Rivista di storia politica, numero 1 del 2021. Il libro è David A. Bateman, Disenfranchising Democracy. Construction of the Electorate in the United States, the United Kingdom, and France (Cambridge University Press, 2018).
Il paradosso è evidente e subito esplicitato dall’autore stesso, un giovane e brillante docente oggi a Cornell University, in quel Department of Government che è uno dei centri di irradiazione degli studi storico-politologici di American political development. Ma come, ci si può chiedere, un libro sulla democratizzazione degli Stati Uniti, accompagnato da analisi comparate con il Regno Unito e la Francia, che titola sulle restrizioni attive della democrazia, sulla negazione della franchise a gruppi che già la possedevano?
Ebbene sì. Che la storia dei diritti politici nell’età contemporarea non sia una gloriosa marcia unidirezionale di inclusione di sempre nuovi soggetti, ma piuttosto un complesso percorso a ostacoli, non è una ipotesi nuova; è tuttavia fondata e Bateman fa bene a tematizzarla. Che non sia una storia in cui i diritti esistono ready made in natura e vengono conculcati dai potenti, per cui si possa parlare di cattivi che impongono barriere artificiali e di eroi che le abbattono, ma sia piuttosto una faticosa costruzione sociale e politica di nuove identità giuridiche – è anch’esso un fatto scontato per gli storici, spesso ignorato nelle narrazioni un po’ così. E Bateman lo sviluppa al massimo grado di fecondità analitica
Per ciò che riguarda gli Stati Uniti (per i due paesi europei considerati, che occupano l’ultimo terzo del volume, lascerei le valutazioni ad altri) c’è il mito progressista che racconta di una sequenza bisecolare di lotte e di avanzamenti della democrazia. Una sequenza che, nelle parole del presidente Obama nel suo primo discorso inaugurale, va dai patrioti del 1776 alle donne suffragiste di Seneca Falls, agli afro-americani per i diritti civili di Selma, agli attivisti gay di Stonewall. E’ una sequenza simbolica di successi, dice Bateman, che ignora le battute d’arresto, i movimenti e le lotte contro, i rovesciamenti di tendenza.
I neri liberi del Nord, per esempio, furono cancellati dalle liste elettorali proprio nell’età della rivoluzione democratica, dell’avvento del cosiddetto suffragio universale. E’ troppo facile ricordare che i neri liberati con la fine della schiavitù esercitarono il suffragio per trent’anni ma dopo il 1900, nel Sud segregato, ne furono privati con leggi e violenze. E’ meno noto che in molti stati, sempre intorno al 1900, furono esclusi dal voto gli immigrati che stavano completando le carte di cittadinanza (fino ad allora erano ammessi); e che in alcuni stati alle donne proprietarie fu tolto il diritto politico quando esso fu separato dalla proprietà e legato al sesso. E ancora oggi ci sono problemi di voter suppression più o meno mirati…
Insomma non tutto e non sempre va per lo stesso verso.
Nella sua ricerca Bateman si concentra sul primo caso storico sopra ricordato, la formazione della democrazia americana della prima metà dell’Ottocento, quella di Tocqueville che poi si franse sulla Guerra civile. Quando i neri liberi di molti stati del Nord, benché cittadini, furono privati della franchise di cui fino ad allora avevano goduto. Le ragioni? In una parola, il fatto che la nuova repubblica democratica era pensata e fu costruita, in positivo, come una “white man’s republic” (bianca e maschile appunto). Partendo da qui, Bateman elabora un paradigma interpretativo che non vale solo qui.
Lo stretto calcolo elettorale, dice, ha certamente un ruolo in questo tipo di operazioni: gli attori danno il voto ai potenziali sostenitori e cercano di negarlo agli oppositori, giusto per vincere. C’è tuttavia qualcosa di più, di più nebuloso ma di più importante, che non è solo retorica. E cioè l’idea di vivere in una comunità più densa di una semplice associazione arbitraria, e quindi il progetto di farne una comunità politica, di farne un popolo (le note a pié di pagina sono Benedict Anderson e tutto il resto). Nella prospettiva del people-making, allora, enfranchisement e disenfranchisement sono modi complementari di marcare i confini del popolo stesso, di offrire ai cittadini una identità civica comune, magari di produrre maggioranze elettorali contingenti ma soprattutto di creare una durevole fonte di autorità che sia il cuore di un desiderato regime politico.
E in questa creazione c’è chi è dentro e chi è fuori.
- America Anno Zero (Fondazione Feltrinelli): intervista ad Arnaldo Testi / Il sistema elettorale
- Amy Coney Barrett ha ragione (a proposito del giudice Roberts e Obamacare)
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