Le elezioni di medio termine sono uno dei marchingegni inventati dai costituenti americani del Settecento per rendere difficile l’esercizio del potere esecutivo federale. Piazzare un rinnovo totale della Camera dei rappresentanti e un rinnovo parziale, di un terzo dei membri, del Senato a metà del mandato quadriennale del presidente, è un po’ come strappargli il tappeto da sotto i piedi. Vuol dire cominciare a sottoporre a giudizio la sua amministrazione quasi immediatamente, dopo meno di due anni di attività. Vuol dire mettere in pericolo le maggioranze legislative del suo partito (se ce l’ha), minacciando la possibilità del governo diviso. Vuol dire costringere lui (per ora è sempre stato un “lui” maschio) e il suo partito a una campagna elettorale permanente.
Questo non era un gran problema all’inizio della storia nazionale, quando i padri fondatori neanche immaginavano l’esistenza dei partiti politici, e il potere legislativo, cioè il Congresso, era considerato il cuore del sistema costituzionale. Lo è diventato da quando, diciamo intorno alla metà dell’Ottocento, si è sviluppata una democrazia di massa fondata su un esteso suffragio maschile e su due partiti popolari in competizione e conflitto fra loro; e da quando la presidenza e la lotta per la sua conquista sono diventate centrali nella vita politica. E’ stato allora, fra l’altro, che la partecipazione elettorale alle elezioni presidenziali ha superato quella alle midterm elections (all’inizio dell’Ottocento era vero l’opposto), facendo capire che la repubblica si stava avviando a essere davvero una repubblica presidenziale nel senso moderno che conosciamo.
Da allora il partito che non controlla la Casa bianca ha usato le elezioni di medio termine per far pagare al suo inquilino il fio delle sue scelte politiche, per organizzare contro di lui la delusione e lo scontento che, inevitabilmente, si accompagnano al passaggio dalla poesia delle promesse elettorali alla prosa del governo. E c’è riuscito quasi sempre. Dal 1842 a oggi il partito del presidente ha perso seggi in Congresso in tutte le midterm elections, in tutte tranne tre. (Le tre eccezioni? F.D. Roosevelt nel 1934 della Grande depressione, George W. Bush nel 2002 post 11 settembre e, nel mezzo, il resilientissmo comeback kid Bill Clinton nel 1998). In parecchi casi, inoltre, il partito del presidente ha proprio perso la maggioranza in una o entrambe le camere, consegnandola al partito di opposizione.
Perdere seggi è quindi normale. Perdere le maggioranze un po’ meno, ma succede. Talvolta subito, durante il primo mandato del presidente. E’ successo a Clinton; nel 1994 il suo partito ha perso in un sol colpo Camera e Senato, nella cosiddetta “rivoluzione repubblicana” conservatrice guidata da Newt Gingrich. Per i democratici fu un bloodbath, un bagno di sangue. E’ successo lo stesso, più di recente, a Barack Obama; nel 2010 ha ceduto il controllo della Camera al partito repubblicano più ultraconservatore e ostruzionista della storia, e ne è rimasto di fatto prigioniero, paralizzato. Ci siamo presi uno shellacking, una bella batosta, commentò il presidente. Sia Obama che Clinton, due anni dopo, sono stati rieletti a un secondo mandato, ma non sono più stati gli stessi.
Perdere Camera e Senato è successo anche ai repubblicani di Bush junior nel 2006, durante il suo secondo mandato. In questo caso le midterm elections hanno prefigurato la formazione di nuove maggioranze nell’elettorato, un imminente cambio di partito alla Casa bianca: dal repubblicano Bush al democratico Obama nel 2008. Storicamente, non è neanche necessario che la batosta sia così totale, perché abbia rilevanza predittiva. Nel 1966, dopo le leggi sui diritti civili e sul welfare, dopo l’escalation in Vietnam, i democratici di Lyndon Johnson persero una cinquantina di seggi alla Camera e qualcuno al Senato. Mantennero il controllo del Congresso ma, con il senno di poi, fu per loro l’inizio della fine. Quelle midterms segnalavano il disgregarsi della coalizione del New Deal e il riallineamento elettorale che portò alla vittoria di Richard Nixon nel 1968 e alla lunga egemonia repubblicana che ne seguì.
Insomma, le elezioni di medio termine possono annunciare il futuro. Anche per questo le prossime del 4 novembre sono importanti: non solo per ciò che resta della presidenza Obama, ma anche per ciò che possono dire sui destini di medio periodo del partito democratico e di quello repubblicano.
(Pubblicato il 4 ottobre 2014 sul sito web di pagina99.)
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