Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Columbus Day: tre guerre culturali su Cristoforo Colombo

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Il 6 ottobre scorso il City Council di Seattle, nello stato di Washington, ha deciso di sostituire la festa di Columbus Day con quella di Indigenous Peoples’ Day. Ci sono state resistenze nella comunità italo-americana. Un contingente del locale Order of the Sons of Italy in America ha protestato con bandierine tricolori: ci derubate della nostra eredità culturale. Ma alla fine il consiglio ha votato all’unanimità. Anche il consigliere Nick Licata l’ha fatto, prendendola bene: “Siamo tutti cittadini in una democrazia, siamo qui per lavorare insieme, e istituendo questo Indigenous Peoples’ Day aggiungiamo qualcosa, non portiamo via niente a nessuno. Possiamo entrambi riconoscere la nostra forte presenza”. Il voto è stato salutato da tamburi e canti dei Native Americans: “Non vogliamo rivivere le pene del passato, ma celebrare un trionfo – è la voce delle genti native che dicono ‘siamo ancora qui’”.

E’ questo l’ultimo episodio di almeno tre storici conflitti politici e culturali che, negli Stati Uniti, hanno riguardato la figura simbolica di Cristoforo Colombo, che da decenni si festeggia ufficialmente il secondo lunedì di ottobre, cioè, quest’anno, domani 13 ottobre – Columbus Day, appunto. Tutti e tre i conflitti hanno trovato momenti importanti di coagulo in occasione dei tre centenari della “scoperta dell’America” che il paese ha celebrato dacché esiste.

Nel 1792, per il terzo centenario, gli Stati Uniti erano appena nati. Il 12 ottobre di quell’anno i festeggiamenti popolari dell’inizio del quarto “secolo colombiano” segnarono il radicarsi di Colombo come un simbolo di indipendenza nazionale repubblicana, come una sorta di Mosé americano – contro la retorica imperiale europea, sia britannica che spagnola, che lo aveva avvolto fino ad allora. Il processo era iniziato durante la rivoluzione, quando l’ammiraglio italiano era stato invocato come patrono dei ribelli, alcuni dei quali avevano cominciato a riferirsi alle colonie unite come a “Columbia”.

Columbia, or Lady Liberty, 1804

Columbia, or Lady Liberty, 1804

Dopo la rivoluzione il King’s College di New York era stato ribattezzato Columbia College (molto più tardi University). Columbia era la nuova capitale della South Carolina, e naturalmente District of Columbia fu la sede della nuova capitale federale, Washington. La pratica di name-placing sarebbe continuata nei decenni successivi, e Columbus e Columbia divennero ubiqui nella geografia del paese, a indicare città, contee, fiumi, con una frequenza pari solo a quella del padre fondatore Washington. Nel frattempo il nome femminilizzato era stato attribuito all’immagine di una “dea della libertà”: Columbia protettrice della homeland e della terra promessa, di una nuova civiltà bianca ma non-europea, del suo desiderio di espansione e conquista continentale verso occidente.

Nel 1892, per il quarto centenario, gli Stati Uniti stavano vivendo una delle grandi ondate migratorie della loro storia. Colombo non era stato dimenticato come eroe della mitologia e della religione civile nazionale, ma il 12 ottobre come giorno da ricordare sì. La sua figura, questa volta come glorioso esploratore cattolico al servizio di una potenza cattolica, e la data-simbolo della sua impresa, furono rivitalizzate e scritte nel calendario dall’orgoglio etnico dei nuovi immigrati cattolici, in particolare irlandesi e italiani – contro la retorica xenofoba e “nativista” dei movimenti anti-immigrazione protestanti.

In effetti le celebrazioni impegnarono tutto il paese, che usò l’anniversario per mostrare al mondo il suo status di potenza industriale. A Chicago si stava preparando una colossale fiera internazionale, la Columbian Exposition, aperta l’anno successivo; a New York fu inaugurato Columbus Circle. Ma in questo contesto le associazioni di immigrati, fra le quali i Knights of Columbus, ebbero modo di organizzare dei loro eventi. E soprattutto di cominciare a premere sulle autorità affinché istituissero un Columbus Day annuale ufficiale. Riuscirono a superare le resistenze nativiste prima in alcune città e Stati, e infine a livello federale (negli anni 1930s). In nome di Colombo, i nuovi americani di religione cattolica rivendicavano la loro legittima, patriottica e eguale cittadinanza nella repubblica. Columbus Day divenne la festa degli italo-americani, e poi degli ispano-americani.

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Nel 1992, per il quinto centenario, gli Stati Uniti erano scossi da discordie politiche sulle questioni dell’identità etnico-razziale e della memoria storica. Già da tempo italiani e ispanici festeggiavano (e festeggiano tuttora) Columbus Day in giorni diversi. Inoltre molti ispano-americani di discendenza mista, india o africana, affiancati da esponenti di movimenti Native-American, afro-americani e radicali bianchi, non erano più così convinti della bontà delle gesta dell’ammiraglio – contro la retorica dell’esploratore impiegavano quella dell’invasore e conquistatore del continente e delle sue genti. Per costoro Colombo non era un eroe ma un nemico dell’umanità, e il 12 ottobre era l’inizio di una scia di sangue, di genocidi e schiavitù.

Le celebrazioni furono coinvolte in aspre guerre culturali. Ci furono manifestazioni di protesta, contestazioni, contro-celebrazioni, scontri di orgoglio etnico (in particolare con gli italo-americani). Fu allora che alcuni luoghi cominciarono a cambiare ufficialmente nome a Columbus Day, ribaltandone il senso: nello Stato del South Dakota diventò Native American Day; a Berkeley, in California, Indigenous People’s Day. In altri luoghi l’organizzazione degli eventi, delle parate, dei festival, passò dalle autorità pubbliche alle associazioni di comunità. Da allora le tensioni sono continuate, sia pure a bassa intensità e spesso con una salutare indifferenza reciproca. Che ognuno festeggi se stesso come meglio crede. La storia, evidentemente, continua a contare, anche dopo mezzo millennio.

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Categorie:Cultura politica, Immigrazione, patriottismo

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