Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Il Medio oriente come Estremo occidente

Un pivot verso il Pacifico nella politica estera americana, via dai guai del Medio oriente? Anche guardando al Pacifico e all’Asia (e alla Cina), volenti o nolenti, gli Stati uniti tornano a vedere il Medio oriente – ora come Estremo occidente.

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Ma non doveva essere il “secolo del Pacifico”, l’Asian-American century? Non doveva esserci un broad shift verso l’Asia nella politica estera americana, un pivot verso le nuove realtà globali di quel continente che comprende più della metà della popolazione e la metà dell’economia mondiale? Una svolta che portasse il paese lontano dagli intrattabili e pericolosi problemi del Medio oriente? Così era stato annunciato solo due anni fa da Obama e dal segretario di stato Hillary Clinton. Con la promessa, aveva scritto Hillary su Foreign Policy, nel novembre 2011, di non essere “distratti di nuovo da eventi altrove”: “Il futuro sarà deciso in Asia, non in Afghanistan o Iraq, e gli Stati uniti saranno al centro dell’azione”. Con l’assicurazione, aveva detto Obama già nel 2009 a Tokyo, che lui era, anche per biografia personale, “America’s first Pacific president”. E allora, perché rischiare nuovi grattacapi proprio altrove, in Siria e prima ancora in Libia? E infine dichiarare che “noi resteremo impegnati nella regione sul lungo periodo” – come ha fatto Obama all’ONU il 25 settembre scorso? Senza praticamente mai nominare l’Asia.

Un tira-e-molla del genere era già successo una volta nell’immediato passato. Un tentativo di ri-orientare verso l’Asia l’interesse americano l’aveva fatto Bill Clinton negli anni 1990s. Ma poi c’era stato l’11 settembre, e tutto il resto. E’ questo, esattamente, il passato della cui eredità Obama voleva liberarsi: con la de-escalation in Afghanistan e Iraq, con il passaggio alla meno impegnativa (per lui) “guerra dei droni”, a operazioni di commando spettacolari e limitate (l’uccisione di bin Laden), e a massicci investimenti (ahilui) in tecnologie di intelligence e sorveglianza elettronica. E, in parallelo, con la decisione di rivitalizzare la tradizionale vocazione Pacifica del paese, di riconquistare in quell’area fette di mercato e di influenza strategica che si stavano erodendo. Anche la sua National Defense Strategy del gennaio 2012 prevedeva lo spostamento di priorità e risorse militari dal Mediterraneo e dall’Atlantico – al Mar della Cina. In questo contesto, il discorso del Cairo del 2009 poteva essere visto, a posteriori, non solo come una apertura al mondo arabo-musulmano, ma anche come una lettera di addio.

Ora il tira-e-molla si è ripetuto, e il mondo arabo-musulmano ha riconquistato il primo piano. Al di là della permanenza di certi interessi (il petrolio saudita, la sicurezza di Israele), al di là della retorica dell’interventismo umanitario liberal (che ha ripreso vigore fra alcuni consiglieri della Casa bianca), al di là degli accidenti della storia e della difficoltà di liberarsi davvero delle sue violente eredità, c’è probabilmente un fatto strutturale, in questa ripetizione, che la rende inevitabile anche nella logica della svolta asiatica. Confrontarsi a occidente con l’Asia vuol dire, per Washington, misurare il suo status di grande potenza con nazioni e potenze in ascesa che a loro volta guardano (per ragioni geopolitiche, interessi economici, e comuni problemi interni) a ovest, al loro ovest, e cioè all’Asia centrale e quindi al Medio oriente. Lì nascono i guai di Cina e Russia e India, di Indonesia e Filippine, con le corpose minoranze musulmane delle loro popolazioni. Lì sono le fonti energetiche di cui i cinesi e tutti hanno vitale bisogno. Lì si giocano le ambizioni egemoniche regionali e continentali, e almeno per le prime due anche globali, di Cina, Russia e Iran. Anche scrutando attraverso il Pacifico, volenti o nolenti, gli americani tornano a vedere il Medio oriente – questa volta come Estremo occidente.

Post Scriptum. Una versione più lunga, e un po’ più ragionata, di questo post è ora pubblicata su Aspenia numero 63Dove Est incontra Ovest (gennaio 2014, pp. 25-31), con lo stesso titolo. E’ anche leggibile in toto e scaricabile qui (non so per quanto tempo).

Categorie:Politica estera

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1 risposta

  1. L’ha ribloggato su The law of news 2e ha commentato:
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