Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Il mio incontro mancato con Mother Courage, il primo ristorante femminista d’America (dicembre 1977)

Associated Press Wirephoto, May 18, 1975

Associated Press Wirephoto, May 18, 1975

Erano i giorni intorno al capodanno 1977-1978 a New York. Con E. appena arrivato dall’Italia decidiamo di provare un ristorante di cui il listing dice “for feminists and their friends” (e noi siamo amici, no?), dove la conversazione rimbalza di tavolo in tavolo ed è più interessante del cibo (vabbe’, non si può avere tutto). Sta sulla W. 11th Street nel Greenwich Village, nel West Village per la precisione. Si chiama Mother Courage. Ci avventuriamo in una intensa pittoresca tempesta di neve, non ci si vede a un palmo dal naso, troviamo infine la porta chiusa e la vetrina buia – e un avviso scritto a mano, “Sorry, folks, I just can’t do it anymore”.

Madre Coraggio non ce l’aveva fatta.

Qualche anno fa avevo cercato notizie in rete su questa faccenda, trovando quasi niente. Ora invece ce n’è abbastanza (succede per tante cose). E la storia è questa. Mother Courage è stato il primo ristorante femminista di New York e degli Stati Uniti, aperto nella primavera del 1972 e chiuso nel 1977 – dunque chiuso da poco, al tempo della nostra visita. E’ stato il primo e l’ispiratore di una piccola serie di locali simili, in quegli anni di invenzioni militanti e creative. Per dire: Bread & Roses a Cambridge, Mass.; Brick Hut Café a Berkeley; Lysistrata a Madison, Wis.; Susan B.’s a Chicago. Erano parte del movimento. Erano anche posti in cui una donna potesse cenare da sola senza essere in imbarazzo o importunata.

Le proprietarie erano Dolores Alexander e la sua compagna Jill Ward. Alexander era una figura nota nel femminismo newyorkese. Era stata la prima executive director della NOW, la National Organization for Women; e aveva perso la carica per le sue critiche all’atteggiamento anti-lesbiche prevalente nell’organizzazione (ho trovato l’espressione lesbian purge per riassumere l’incidente). Si era avvicinata al gruppo New York Radical Feminists e poi aveva fondato Women Against Pornography, una posizione che non era di tutte le femministe. Sembra che il ristorante fosse uno dei pochi luoghi in cui le donne delle diverse fazioni potessero ritrovarsi in pace, e persino tenervi delle riunioni, le Radical Feminists così come la NOW.

Ci fu anche uno show di arte lesbica, almeno uno, e controverso. Ho trovato la versione delle artiste: “Nel giugno 1976 facemmo una mostra collettiva al Mother Courage Restaurant. Il giorno dopo la vernice, dal ristorante chiamarono Flavia [Rando] e le dissero che trovavano un suo dipinto semi-astratto di genitali femminili ‘offensivo e di cattivo gusto’ e chiedevano di rimuoverlo. Il nostro gruppo era diviso fra il rimuovere tutte le opere o fare un compromesso. Alla fine rimuovemmo il dipinto ‘offensivo’ e lo sostituimmo con un testo che descriveva il dipinto e ciò che era accaduto e quali fossero le intenzioni creative di Flavia. Consentimmo a questa esperienza di avere un effetto distruttivo sul gruppo…”

Schermata 2016-01-02 a 13.25.13

Il lavoro al ristorante era duro, impegnativo, c’erano i soliti problemi di una piccola impresa condotta da persone di buona volontà ma dilettanti di contabilità e di cucina. C’era anche qualche problema in più. Le clienti donne, per esempio, erano restìe a dare mance adeguate alle cameriere, per cui fu introdotta una service charge obbligatoria del 15%. Il locale ammetteva anche gli uomini, ma dovevano stare al loro posto. Il vino per l’assaggio era servito alla donna, non all’uomo. E il conto? Quello no, quello era lasciato sul tavolo alla stessa esatta distanza fra i commensali – decidessero loro. Non mancarono le liti con i clienti, e con le clienti, su queste audaci innovazioni nel costume.

Queste e altre cose, del ristorante e della sua vita prima e dopo, le racconta la stessa Alexander (il cognome è del marito divorziato; lei era nata DeCarlo in un quartiere operaio italiano di Newark, nel New Jersey). Le racconta in un paio di interviste per un progetto di storia orale dello Smith College, e la trascrizione si può leggere qui.

The New York Times, September 1, 1972

The New York Times, September 1, 1972

Dunque, che cosa voleva dire un ristorante femminista? “Be’, uno spazio per le donne. Non c’era niente del genere allora. C’era Schrafft’s, c’erano le tea rooms, questo genere di cose. Ma noi non volevamo essere una sala da té. Volevamo essere uno spazio per donne forti e indipendenti che sperabilmente fossero coinvolte nel movimento delle donne, e accadde proprio questo. Dopo un po’, le donne cominciarono a venire da tutto il mondo. Conoscevano il nome Mother Courage ed era una grande attrazione”.

Grande successo, dunque? “Siamo state davvero un successo immediato. Abbiamo avuto recensioni su New York Magazine, New York Times, Village Voice. E la gente che veniva da noi regolarmente era gente tipo Susan Brownmiller che divenne una mia grande amica. E Kate Millett veniva a giocare a scacchi. Non le scoraggiavamo dallo stare da noi anche per ore, soprattutto una donna come Kate, che era una vera attrazione. E veniva anche spessissimo Jill Johnston con il suo piccolo entourage. Insomma era un posto molto eccitante in cui essere”.

Dopo i primi anni Alexander si stancò del lavoro quotidiano, si allontanò, tornò alla sua precedente attività di giornalista e lasciò la gestione a Ward. E poi c’è la fine. “Davo una mano per quanto potevo, e Jill continuò a fare la sua parte per sei anni o giù di lì. Poi raggiunse un punto in cui non ne poteva più, era sfinita. Non ce la faceva più. E questo è in pratica quello che scrisse in una nota sulla porta una sera – stavamo anche cercando di venderlo il locale, ma senza successo – e insomma una sera mise un avviso sulla porta che diceva, “Sorry, folks, I just can’t do it anymore.”

Ecco, appunto.

Alla fine riuscirono a vendere, e Mother Courage fu sostituito da The Black Sheep, un bistro franco-italiano. E poi da Móno, una American brasserie. E infine da Wallsé, dove sembra sia possibile fare esperienza della cucina e della gemütlichkeit austriaca – e Google maps mi dice che è ancora lì.

P.S. Il ritaglio del New York Times fotografato qui sopra dice che il locale non accettava carte di credito. Ma era il 1972, folks, praticamente mezzo secolo fa.

Categorie:Memorie, Memory lane, Radicalism

Tag:, , , , , , ,

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...