(Nella fotografia: Michelangelo Pistoletto, Il Tempo del Giudizio, Sala delle Baleari, Palazzo Gambacorti, sede del comune di Pisa, l’estate scorsa 2018. La Sala delle Baleari contiene tre grandi affreschi della fine del Seicento che rappresentano tre vittorie della Repubblica di Pisa: la conquista di Gerusalemme durante la Prima Crociata, la conquista della Sardegna e la presa delle isole Baleari, strappate entrambe ai Saraceni nel 1115. L’istallazione di Pistoletto, concepita nel 2009, dialoga con queste immagini. Rappresenta un tempio ideale in cui le quattro grandi religioni – Cristianesimo, Buddismo, Islamismo, Ebraismo – riflettono su se stesse specchiandosi in grandi specchi.)
Credo che la religione come fatto solo individuale e privato, sia una storia che non sta in piedi. Mi sembra ovvio che sia anche un fatto collettivo e pubblico, comunitario: informa valori sociali e comportamenti che si esibiscono nelle piazze e nelle assemblee civili, come ogni altra convinzione ideale. E’ inevitabile che sia così. Ma proprio lì sta il punto. Se ci sono persone o gruppi di diverse convinzioni religiose (o di nessuna convinzione religiosa) che condividono lo stesso spazio pubblico civile, è bene che lo spazio sia istituzionalmente neutrale, senza che il simbolo di una sola religione (per ragioni di storia o di mera forza) prevarichi sugli altri, senza che gli altri (di altre religioni o di nessuna religione) si sentano soggetti di serie B. E’ una questione di buona educazione – e a me basterebbe. E’ una questione di buona convivenza, di pace sociale – e dovrebbe bastare a tutti. E’ anche una questione di eguaglianza di fronte alla costituzione – se proprio è necessario chiamare i carabinieri.
Alcune minoranze non-cattoliche e laiche (e non-religiose), questa questione di principio l’hanno timidamente sollevata da tempo, in altri tempi che visti con il senno di poi erano assai sereni, quando non era così arroventata dall’arrivo di nuove religioni immigrate (che ad alcuni sembrano un’invasione). Sembrava riguardare solo piccoli gruppi autoctoni un po’ freak, indicati da quasi tutti come propugnatori di frivoli principi elitari contro le tradizioni popolari delle masse. Tradizioni popolari, peraltro, prese sottogamba, considerate fatue e superficiali: cosa c’è di male in un crocifisso o in un presepe, si diceva, sono simboli pigri, sono lì da sempre, cioè vogliono dire poco o niente. La sostanziale mancanza di rispetto per la religione, il non prenderla sul serio, ha contribuito a fare incancrenire il problema. (Non hanno certo aiutato certi atei militanti in versione di bestemmiatori e mangiapreti, i prodotti più puri non del nostro razionalismo illuminista bensì della nostra religiosità più scurrile.) Ora, temo, sarà guerra di religione – perché nelle società di immigrazione le religioni ringiovaniscono, diventano attivamente identitarie (strumenti prêt-à-porter di identità), diventano militanti, pretendono rispetto.
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