Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Donne e populismi, donne populiste

2012-04-16_12-56-40_443

Dei molti saggi raccolti nel volume Populismo di lotta e di governo (vedi la scheda in calce al post), scelgo di riassumere qui, in maniera molto schematica e personale, quello di Raffaella Baritono. Raffaella discute alcuni aspetti dei movimenti populisti poco analizzati nella loro specificità, e cioè le caratteristiche di genere presenti nella loro retorica, nella composizione sociale dei loro attivisti ed elettori, nella formazione della loro leadership. Insomma, l’idea è di parlare di populismi (e in queste note sottolineo soprattutto i populismi di destra, anche se Baritono accenna pure a quelli di sinistra) usando la women’s history e la categoria di gender, così come si fa da decenni in molte analisi storiche.

Tre sono quindi le questioni proposte da Baritono. La prima è la rappresentazione dei ruoli di genere nel linguaggio populista, che rimanda a rapporti gerarchici di potere piuttosto nitidi. Se il popolo è una comunità organica, come vuole la retorica populista standard, le differenze che l’attraversano, comprese quelle fra uomini e donne, dovrebbero essere ritenute ininfluenti. In realtà quelle differenze ci sono eccome, e sono operative, ricalcate su quelle di certo nazionalismo ottocentesco. Alle donne è affidato il compito di salvaguardare i confini biologici e simbolici del popolo, il dovere di mantenerlo “puro” contro le contaminazioni sessuali e culturali, contro minacce e invasioni di ogni tipo. A questo fine le funzioni riproduttive e di cura delle donne devono essere protette (e controllate), ed è chiaro che i protettori (controllori) siano gli uomini. In questa prospettiva, si dice, è fondamentale la difesa delle “nostre donne” contro i predatori sessuali stranieri, dei ruoli sessuali “naturali” contro gay e transgender, e infine della “nostra virilità” – con la finzione consolatoria di parole e comportamenti ultra-virilizzati. E la gravità dello stupro, be’, quella dipende abbastanza da chi lo fa.

La seconda questione riguarda la presenza politica delle donne nei movimenti populisti, dal punto di vista sia dell’attivismo grassroots che del comportamento elettorale. Una presenza che sembra paradossale, vista la retorica di cui s’è detto, ma che è indiscutibile e crescente: di certo nei casi americani, dai movimenti femminili anti-femministi degli anni 1970s guidati da Phyllis Schlafly al più recente Tea Party Movement, ma anche in molti casi europei, tipo nella destra francese. Una spiegazione potrebbe essere questa. Una delle ragioni che ha spinto molti lavoratori a identificarsi con partiti o leader populisti sembra essere la loro perdita di status di maschi breadwinner nella comunità e nella famiglia, una perdita prodotta dai processi di modernizzazione di cui i mutamenti nei ruoli di genere sono un aspetto non secondario. Se ciò è vero, la stessa reazione può essere riscontrata in donne che sono preoccupate per la perdita di valori familiari considerati “tradizionali” e di ruoli di genere considerati “naturali”, domestici, materni e di cura, che danno loro sicurezza e qualche autorità. Che poi, per difendere il loro posto nella famiglia ideale queste donne diventino attiviste ed elettrici fuori della famiglia – be’, questo è appunto il paradosso dinamico che ritorna tante volte nella storia.

La terza questione, infine, è connessa alla seconda, e riguarda il modo in cui i populisti si sono appropriati in modo selettivo di alcuni stilemi dei movimenti femministi, utilizzandoli anche ai fini di legittimare esempi rilevanti di leadership femminili. In fin dei conti, l’anti-femminista per definizione Phyllis Schlafly di tanto tempo fa, o più recentemente una figura come Sarah Palin, o ancor di più una leader come Marine Le Pen, sono modelli di donne “moderne” forti e indipendenti, padrone di se stesse, che hanno infranto le barriere di genere che i populisti vorrebbero difendere, e l’hanno fatto grazie ai movimenti emancipazionisti da cui poi hanno preso le distanze. Si ritorna al paradosso dinamico di cui s’è detto poco sopra: anche queste donne visibilissime, per agire con successo nella pubblica piazza della politica, fanno appello a una sorta di domesticità allargata che include compiti di cura, di tutela maternalista, di tutela della salute morale di quella grande famiglia che è il popolo. Esemplare è il caso di Palin: cowgirl e maschia cacciatrice di orsi del grande nord, madre in una famiglia problematica ma anche per questo auto-celebrazione di quelle tough hockey moms, pitbull con il rossetto, che entrano in politica perché temono per il futuro dei figli. “Madri grizzly”, direbbe lei.

Il saggio di Raffaella Baritono qui saccheggiato, “Rappresentazioni di genere, diritti delle donne e leadership femminili nei populismi contemporanei”, sta in Populismo di lotta e di governo, a cura di Manuel Anselmi, Paul Blokker e Nadia Urbinati, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano, settembre 2018.

Categorie:nazionalismo, Radicalism

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