Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

La polarizzazione politica e il ritorno dei terzi partiti

third-party-candidateI terzi partiti o i terzi candidati indipendenti non esistono solo a livello presidenziale. Che cosa succede al di sotto della gara per la presidenza, per esempio nelle elezioni congressuali per la Camera, è altrettanto interessante, forse di più – soprattutto sul lungo periodo.

I candidati presidenziali sono ovviamente i più noti, anche nella politica di questi mesi. Di recente se n’è parlato durante le primarie come potenziale minaccia esterna (Michael Bloomberg) oppure come possibilità scissionista dentro ai partiti (Donald Trump e Bernie Sanders). Se ne parla ora come presenza reale nelle schede elettorali: Gary Johnson e il Libertarian Party (con un mica-male 8-9% di preferenze nei sondaggi), Jill Stein e il Green Party (3-4%). Quando usciranno le liste ufficiali, verranno fuori altre decine di aspiranti, in nome di partiti dai nomi altisonanti o solo di se stessi.

Verranno anche fuori i nomi dei terzi candidati nei collegi per la Camera dei rappresentanti, se qualcuno avrà la pazienza di farne un rendiconto sistematico. Per il momento c’è chi ha avuto la pazienza di farlo, il rendiconto, a livello storico, dal 1870 al 2010, e i risultati sono questi: nel cuore del Novecento gli Stati Uniti hanno avuto uno dei sistemi bi-partitici più stabili delle democrazie occidentali. Prima e un po’ anche dopo non è stato affatto così.

Fino agli anni 1920s, e in tutto il secolo precedente, i terzi partiti sono stati attivi a tutti i livelli del sistema federale, negli Stati così come nella politica nazionale. Hanno contribuito a disegnare l’agenda politica introducendo nuovi temi nel dibattito, dall’abolizionismo ai diritti dei lavoratori, alle riforme sociali, al suffragio femminile. Poi si sono diradati, condannati all’inesistenza o all’irrilevanza, ovvero a vampate occasionali solo a livello presidenziale.

Figura 1

Figura 1

Negli ultimi decenni i terzi candidati sono di nuovo aumentati, indicando una ripresa del fenomeno. Ci sono state nuove e più importanti esplosioni presidenziali: le punte alte della Figura 1 sono quelle del segregazionista meridionale George Wallace nel 1968, degli indipendenti John Anderson nel 1980 e Ross Perot nel 1992 e (meno) nel 1996. Soprattutto c’è stata una sicura lievitazione di candidature alla Camera, come mostra la Figura 2.

Figura 2

Figura 2

Cinquanta anni fa, i terzi candidati erano presenti in poco più di un decimo delle circoscrizioni congressuali, negli ultimi vent’anni sono arrivati a essere presenti in più della metà. Per il momento, tuttavia, sembrano aver incontrato meno successo dei loro corrispettivi di un secolo fa, quando capitava loro di superare anche il 10% dei voti complessivi. In tempi più recenti si sono invece mantenuti al di sotto di un terzo di quella percentuale, e hanno superato il 3% solo nel 2000 e nel 2006. Ma il trend è in crescita, e vedremo come va nella tornata del prossimo novembre.

Le ragioni di questo andamento si possono ipotizzare. Una spiegazione che trovo suggestiva collega il ciclo storico dei terzi partiti ai cicli della polarizzazione politica e delle diseguaglianze economiche. Più i partiti sono ideologicamente coerenti e compatti (come lo sono oggi e lo erano cent’anni fa), meno spazio lasciano a elettori e attivisti outlier che sono quindi attratti da soggetti esterni. Più la società è diseguale e le diseguaglianze di reddito sembrano aumentare (di nuovo: negli ultimi decenni come un secolo fa) più ci sono cittadini frustrati che rifiutano i partiti established e cercano altro.

In alcuni post precedenti (in questo e in quest’altro) ho mostrato come ci sia una sincronicità secolare piuttosto singolare, e quindi forse significativa, nelle curve della polarizzazione ideologica dei partiti, delle diseguaglianze di reddito e dell’intensità dei flussi migratori. Ora potrei aggiungere: e dell’incidenza dei terzi partiti. La conclusione non sembra irragionevole né particolarmente sorprendente. E cioè: laddove crescono le diseguaglianze e si prospettano profondi mutamenti etnico-razziali è facile che gli elettori abbiano reazioni più radicali, che i due partiti principali si contrappongano in maniera più netta, che il sistema bi-partitico non riesca a contenere tutto lo scontento che c’è là fuori.

Figure, dati e alcuni ragionamenti sono rubati a Bernard Tamas e Matthew Dean Hindman, The U.S. has more third-party candidates than it’s seen in a century. Why?, The Washington Post, 31 agosto 2016. Altre cose di background provengono da lavori più accademici degli stessi autori, tipo Ballot Access Laws and the Decline of American Third Parties, in «Election Law Journal: Rules, Politics, and Policy», maggio 2014.

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Categorie:campagna elettorale, Electoral process

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