Rileggo due pagine di The Audacity of Hope, il libro del 2006 con cui Barack Obama preparò la sua avventura politica presidenziale (traduco velocemente dall’inglese, non avendo sotto mano l’edizione italiana).
Malgrado siano passati quarant’anni, il tumulto degli anni sessanta e la successiva reazione continuano a orientare il nostro discorso politico. In parte ciò sottolinea quanto profondamente quei conflitti fossero sentiti dagli uomini e dalle donne che crebbero in quel periodo, e quanto quelle discussioni fossero vissute non solo come dispute politiche ma anche come scelte individuali che definivano un’identità e una posizione morale personale.
Penso che sottolinei anche il fatto che le questioni più calde degli anni sessanta non si siano mai davvero risolte. E’ possibile che la furia della controcultura si sia dissipata in consumismo, scelte di lifestyle e preferenze musicali piuttosto che in impegno politico, ma i problemi di razza, guerra, povertà e relazioni fra i sessi non sono scomparsi.
E forse ciò ha semplicemente a che fare con le enormi dimensioni della generazione dei Baby Boomer, una forza demografica che esercita in politica la stessa attrazione gravitazionale che esercita su ogni altra cosa, dal mercato del Viagra al numero di portabevande che l’industria automobilistica mette in una macchina.
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Nelle picche e ripicche fra [il presidente Bill] Clinton e [lo speaker della Camera Newt] Gingrich, e nelle elezioni del 2000 e del 2004, talvolta ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte allo psicodramma della generazione dei Baby Boomer – una storia radicata in vecchi risentimenti e vendette covate tanto tempo fa in una manciata di campus universitari – recitato sul palcoscenico dell’intero paese.
Le vittorie della generazione degli anni sessanta – l’ammissione delle minoranze e delle donne alla piena cittadinanza, il rafforzamento delle libertà individuali , la salutare disposizione a mettere in discussione l’autorità – hanno reso l’America un posto migliore per tutti i cittadini. E tuttavia ciò che nel frattempo è andato perduto, e che non è stato sostituito, sono quelle convinzioni condivise – quella fiducia e quel sentimento di comune appartenenza – che ci tengono insieme come americani.
Nel 2008 Obama (classe 1961, all’alba alla Generazione X) sembrò chiudere questa egemonia generazionale che a livello presidenziale non era poi durata moltissimo, 16 anni, quattro mandati, due presidenti (Bill Clinton e George W. Bush, entrambi nati nel 1946). Poco in effetti, se si pensa a quanto siano rimasti alla Casa bianca coloro che sono passati attraverso la Seconda guerra mondiale, la Greatest Generation: dalla fine della guerra fino a Bush padre, praticamente mezzo secolo!
Ma insomma, nel 2008 – una nuova generazione ecc. ecc. Mica vero. Il ritorno dei Baby Boomer in questo 2016 è stato straordinario e minaccioso. Sono sempre qui, in tutta la loro diversità: Hillary Clinton (1947) e Donald Trump (1946). Ma non solo loro, basti pensare in campo democratico ai protagonisti dell’ala sinistra, Elizabeth Warren (1949) e il più arzillo di tutti, Bernie Sanders (1941). Inutile ricordare che in campo repubblicano i giovanotti c’erano ma Trump se li è mangiati in un boccone.
- La prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti? In manette!
- Chi sei tu che dici che non conosco i miei veri interessi?
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