Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

La prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti? In manette!

16524-victoria-woodhull-2No, non sto parlando di Hillary Clinton inseguita dall’FBI per la faccenda delle sue email. Parlo di cose di un secolo e mezzo fa, quando ancora le donne non potevano votare, ma avevano cominciato a fare le troublemakers, in un modo o nell’altro. Perché, se è vero che Hillary sarà, se tutto le fila liscio, la prima candidata presidenziale di uno dei due partiti principali, quindi con una seria possibilità di essere eletta alla Casa bianca, non è vero che sia la prima in assoluto.

Molte donne l’hanno preceduta, presentate da partiti minori, piccoli, e quindi destinate all’irrilevanza elettorale. Dal 1968 a oggi, in particolare, ce ne sono state a ogni tornata elettorale, radicali, comuniste, socialiste, trotskiste, paleo-conservatrici, anti-abortiste, populiste, pacifiste, verdi. Il Green Party, quello di Ralph Nader del 2000, ha candidato la dottoressa Jill Stein nel 2012 (con quasi mezzo milione di voti un successone) e probabilmente lo farà anche quest’anno.

Ma la prima di tutte è stata Virginia Claflin Woodhull (1838-1927) nel 1872. Una candidata a dir poco inusuale, con una vita avventurosa. Era nata in povertà sulla frontiera dell’Ohio, figlia di una seguace analfabeta del mesmerismo e di un venditore di pozioni miracolose, sposata a quindici anni con un alcolizzato. Era tuttavia riuscita a farsi strada nella società newyorkese con l’ambizione, l’intelligenza e le capacità imprenditoriali. E coltivando l’amicizia e contando sull’aiuto di uomini potenti. Ruppe così parecchi tabù.

Victoria Woodhull by Mathew Brady, circa 1870

Victoria Woodhull by Mathew Brady, circa 1870

Nel 1870 Virginia e la più giovane sorella Tennessee detta Tennie divennero le prime donne broker a Wall Street (con l’aiuto di un amico ricco e potentissimo, il magnate delle ferrovie Cornelius Vanderbilt, loro ammiratore e amante di Tennie). Poi fecero le editrici fondando il Woodhull & Claflin’s Weekly, un periodico che si distinse per le strane idee che propugnava. Fra queste c’era il suffragio femminile, l’educazione sessuale, il vegetarianismo, il libero amore, persino le gonne corte.

Nel 1871 pubblicò per primo negli Stati Uniti la versione inglese del Manifesto dei comunisti di Marx e Engels.

Il libero amore era una passione. In un celebre discorso del 1871 Victoria disse: “Sì, sono una Free Lover. Ho un diritto inalienabile, costituzionale e naturale ad amare chi voglio, a cambiare questo amore ogni giorno se mi aggrada, senza nessuna interferenza da parte vostra o da parte della legge”. Free Love per lei voleva dire libertà di scegliere il partner e di divorziare, di controllare il proprio corpo, di parlare di sesso, di rifiutare doppi standard di morale sessuale.

Inutile dirlo, per tutto questo fu pubblicamente chiamata una prostituta.

Il fine principale del giornale era sostenere la sua ambizione più stravagante, la politica elettorale. Virginia aveva una convinzione: le donne sono “persone” i cui diritti di cittadinanza sono riconosciuti nella Costituzione; il diritto di voto è centrale e inerente alla cittadinanza; ergo, le donne hanno già il diritto di voto, devono solo esercitarlo. Non era l’unica a pensarla così. Ma ne parlò di fronte a un comitato della Camera dei Rappresentanti (con l’aiuto amichevole di un suo potente membro) e divenne un’eroina delle suffragiste.

Costrinse un deputato del comitato a dirle: “Signora, lei non è un cittadino – lei è una donna!”.

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Si candidò alla presidenza degli Stati Uniti per le elezioni del 1872, nominata dall’Equal Rights Party o Cosmo-Political Party. Il ticket era scandalosamente multirazziale; il candidato alla vice-presidenza era infatti l’abolizionista nero Frederick Douglass (va detto, a sua insaputa: fece la campagna per i repubblicani). Che alle donne non fosse neanche consentito l’ingresso ai seggi, malgrado ci avessero provato, era una sfida interessante. Che Victoria non avesse neanche compiuto i 35 anni previsti dalla Costituzione, sembrava un dettaglio.

Proprio intorno al giorno delle elezioni, tuttavia, le varie attività e passioni di Victoria fecero corto circuito. Victoria venne a sapere di un adulterio che riguardava il reverendo Henry Ward Beecher (fratello di Harriet Beecher Stowe, quella della Capanna dello Zio Tom): un riformatore suffragista ma anche un moralista che si era scagliato contro l’idea di Free Love. Non resistette alla tentazione di denunciarne l’ipocrisia sul suo giornale. E mal gliene incolse.

Fu arrestata per aver pubblicato materiale osceno e passò un mese in carcere, Election Day compreso. Non poté neanche provare a votare.

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Titoli di coda

La vita peraltro continuò. Dopo altre avventure, suffragiste e no, nel 1877 Victoria e Tennie lasciarono New York per Londra. Entro pochi anni erano entrambe sposate a ricchi signori inglesi.

Categorie:campagna elettorale

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