La First Family, suocera compresa, è variamente afro-americana, ça va sans dire. E’ il Martin Luther King Day, per giunta il cinquantesimo anniversario della marcia su Washington e di I Have a Dream. E’ il centocinquantesimo anniversario del Proclama di emancipazione. Le Bibbie su cui giura il Presidente sono appartenute a King e a Lincoln. L’invocazione è pronunciata da Myrlie Evers-Williams, attivista, giornalista, scrittrice di colore, la prima donna e la prima persona laica a farlo (è anche la vedova di Medgar Evers, l’attivista nero assassinato nel 1963 in Mississippi da un suprematista bianco). L’inno nazionale è cantato da Beyoncé, di discendenza africana-francese-Native American-irlandese. Poi ci sono gli ispanici. Il poema inaugurale è di Richard Blanco, che certo ha letto il suo Walt Whitman (un altro poeta gay?), ma è cubano di origine. La benedizione è del Reverendo Luis Leon, cubano di nascita. Il giuramento del Vicepresidente Joe Biden è amministrato dalla giudice della Corte Suprema Sonia Sotomayor, nata da portoricani.
Cosa resta ai bianchi di una volta? Vediamo. Due intermezzi musicali (uno spelacchiato James Taylor e Kelly Clarkson). Il gran cerimoniere, il Senatore di New York Chuck Schumer. Un Vicepresidente in forma smagliante e agitatissimo in parata, che avrà 75 anni al prossimo appuntamento elettorale. Il Chief Justice John Roberts che amministra il giuramento presidenziale, un po’ troppo giovane per un giudice (58 anni). Ma mettiamo nel conto che Schumer è ebreo, e che Biden e Roberts sono cattolici. (Per inciso, i nove giudici della Corte Suprema, lì sul palco, sono tre ebrei e sei cattolici.) E dunque, di nuovo: cosa resta ai veri bianchi di una volta, quelli Wasp? La Bibbia di Lincoln?
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