Dopo ogni guerra civile, c’è il problema della riconciliazione nella comunità lacerata. A quali condizioni? Come ricordare la guerra, la fine della guerra, il suo significato? Chi ha vinto e chi ha perso, i morti dell’una e dell’altra parte? E’ possibile avere una memoria, e una giornata della memoria, condivisa? Senza per questo rimuovere le cause della divisione, e magari le buone ragioni, quando ci sono buone ragioni, di chi ha vinto?
Dopo la Guerra civile americana, c’erano distinti memorial days unionisti e confederati, e alcuni volevano fonderli per superare le divisioni, per salutare la nuova unità della nazione. Ma di quale nazione? Quella che aveva liberato gli schiavi e aveva scritto nella Costituzione (nei suoi emendamenti 13, 14 e 15) i loro diritti civili e politici, facendone per la prima volta una carta anti-schiavista? O quella che aveva difeso la schiavitù e continuava a contrastare l’esercizio delle libertà degli ex schiavi? La nazione dei bianchi o la nazione di tutti?
La retorica della riconciliazione passava sopra queste quisquiglie. Ignorava la schiavitù, parlava della guerra come di un tragico evento dalle cause misteriose, in cui i fratelli si erano battuti contro i fratelli, tutti avevano versato sangue con onore, coraggio, eroismo, con fede sincera. E sul lungo periodo ebbe successo. Dalla fine dell’Ottocento voleva dire riconciliazione fra americani bianchi, a spese dei neri che nel Sud furono abbandonati ai nuovi regimi di segregazione legalizzata.
Ma per qualche decennio i memorial days, che allora si chiamavano Decoration Day (si decoravano di fiori le tombe dei caduti), furono terreno di conflitto politico non pacificato. Alle celebrazioni del 30 maggio 1878 a New York, sotto la statua di Abraham Lincoln a Union Square, disse la sua l’illustre abolizionista afro-americano Frederick Douglass, egli stesso un ex schiavo a suo tempo fuggito dal Sud. Il suo discorso originale completo è qui. Queste sono alcune delle cose che aveva da dire.
Concittadini, non sono qui ad alimentare le fiamme dell’animosità sezionale, a resuscitare vecchie battaglie, a fomentare il conflitto fra le razze; ma nessun uomo sincero, guardando alla situazione politica di oggi, può ignorare che siamo ancora afflitti dalle dolorose conseguenze della schiavitù e della ribellione.
Nello spirito del nobile uomo che ci guarda dall’alto [la statua di Lincoln], noi dovremmo avere “carità per tutti, e rancore per nessuno”. Nel linguaggio del nostro più grande soldato, due volte onorato con la presidenza della nazione [il generale Grant], “Che ci sia pace”. Sì, che ci sia pace, ma anche, prima di tutto, libertà, legalità e giustizia. Che ci sia la Costituzione, con i nuovi emendamenti, il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo, correttamente interpretati, fedelmente applicati, gioiosamente obbediti nella pienezza del loro spirito e nella completezza della loro lettera.
[La Guerra civile] è stata una guerra di idee, una battaglia di principi e idee che ha unito una sezione del paese e diviso l’altra: una guerra fra il vecchio e il nuovo, la schiavitù e la libertà, la barbarie e la civiltà; fra un governo fondato sulla più ampia e grandiosa dichiarazione dei diritti umani che il mondo abbia udito o letto, e un altro governo che pretendeva di fondarsi sulla negazione aperta, audace e scioccante di tutti i diritti tranne il diritto del più forte.
Uomini del Nord onesti, saggi e generosi, per le buone intenzioni e il patriottismo dei quali dobbiamo avere il più alto rispetto, dubitano della saggezza di celebrare questo giorno della memoria, e vorrebbero convincerci a dimenticare e perdonare, a cospargere amorevolmente di fiori sia le tombe dei lealisti che dei ribelli. Questo sentimento è nobile e generoso, degno di essere onorato in quanto tale; ma è solo un sentimento dopo tutto, e deve inchinarsi di fronte ai suoi limiti razionali. C’era una parte giusta e una parte sbagliata nell’ultima guerra, e nessun sentimento dovrebbe farcelo dimenticare; e mentre oggi dovremmo avere rancore verso nessuno e carità verso tutti, non è parte del nostro dovere confondere il giusto con lo sbagliato, o la lealtà con il tradimento.
Non ci si deve chiedere di dire che il Sud aveva ragione nella ribellione, o di dire che il Nord aveva torto. Non ci si deve chiedere di non fare alcuna differenza fra coloro che hanno combattuto per l’Unione e coloro che hanno combattuto contro, o fra la lealtà e il tradimento. Non ci si deve chiedere di vergognarci della nostra parte nella guerra.
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