Ha questo di bello la storia, quando si va a sfrugugliarla con certe intenzioni, siano essere patriotticamente corrette o politicamente corrette, dunque per usarla, ché se la storia non è usata non interessa a nessuno – bene, se la si sfruguglia abbastanza, ma basta poco davvero, la storia ha un suo modo di rivoltarsi contro, di tradire, di mettere anche un po’ alla berlina chi la invoca.
Prendete il grande stato del Texas e il suo attuale governatore, il repubblicano Greg Abbott.
Abbot deve aver letto sul New York Times del 1619 Project, un progetto di narrazione della storia nazionale che mette al centro la questione razziale, a cominciare dall’anno dell’arrivo dei primi schiavi africani nelle colonie britanniche in Nord America, il 1619 appunto (un progetto controverso, com’è ovvio, che ha suscitato vivaci discussioni fra gli osservatori e gli storici e il cui saggio di presentazione ha vinto il Premio Pulitzer 2020). Deve aver saputo da Fox News della 1776 Commission, creata dal presidente Trump negli ultimi mesi della sua presidenza per rispondere al 1619 Project, per incoraggiare invece una istruzione storica patriottica centrata sugli eterni valori della Dichiarazione d’indipendenza (un progetto controverso, com’è ovvio, che ha suscitato polemiche e ha prodotto un ridicolo pamphlet di poche pagine pieno di sciocchezze, davvero, magari per la fretta di chiudere).
Dev’essere stato così che Greg Abbott ha concepito l’idea di lanciare nel suo Texas il 1836 Project, con la creazione di una 1836 Commission per promuovere l’educazione patriottica dei suoi concittadini, per diffondere la storia unica e straordinaria dello stato e della sua guerra di indipendenza dal Messico, nel 1836 appunto. Ha detto: “Se vogliamo che il Texas resti lo stato migliore degli Stati Uniti d’America, non dobbiamo mai dimenticare perché il Texas è diventato così eccezionale”. Secondo la Secondo la legge istitutiva (qui) della commissione, il suo compito è altisonante ma anche modesto: educare ai Texas values, ai principi fondatori dello stato, raccontarne “la storia di prosperità e libertà democratica”; in pratica preparare degli opuscoli da distribuire al pubblico, premiare gli studenti che meglio conoscono la storia locale, promuovere monumenti e musei e luoghi storici.
Viene subito in mente El Alamo, a San Antonio.
La legge indica anche le aree storiche di cui occuparsi, un mix che si è esteso e complicato durante l’iter legislativo, allargandosi dagli eventi bellici del 1836 e dintorni fino a comprendere tematiche socio-culturali di varia e opposta impronta politica. Nella versione definitiva, dunque, la storia delle origini del Texas dovrebbe “includere i popoli indigeni dello stato, le eredità spagnole e messicane, i Tejanos [texani di antica discendenza messicana], l’eredità afro-americana, la Guerra per l’indipendenza, Juneteenth, l’annessione del Texas da parte degli Stati Uniti, l’eredità cristiana dello stato, la tradizione di tenere e portare armi in difesa della vita e della libertà e per cacciare; i documenti fondativi dello stato; i fondatori dello stato” e infine, con un salto secolare mozzafiato, il ruolo del Texas nel passaggio del Voting Rights Act federale del 1965.
Allargandosi il mix è diventato interessante e incongruo, interessante perché incongruo, per quello che è stato aggiunto, e per quello che continua a non esserci. Per esempio, chissà con quale linguaggio sarà narrata la storia dei Texas Rangers, che erano presenti alla fondazione e che agirono proprio agli incroci più dark di tutti quei temi. Furono spietati cacciatori di popoli indigeni (Comanche, Kiowa, Apache), di residenti messicani regolari e irregolari, di afro-americani schiavi o liberi, guardiani del confine con il Messico, enforcers dell’ordine bianco e cristiano e razzialmente segregato fin dentro gli anni 1960s. Oppure: a parte l’allusione a Juneteenth, che è la festività nazionale afro-americana che celebra l’emancipazione dalla schiavitù, la sua fine in Texas, il 19 giugno 1865, a Guerra civile conclusa e a Texas sconfitto – a parte questo, la faccenda della schiavitù è ignorata, non nominata.
Ed è un peccato, perché la schiavitù sta proprio all’inizio di questa storia, all’inizio della esistenza stessa del Texas come luogo di migrazione di coloni yankee in territorio messicano, e poi come stato yankee indipendente. Gli yankee si erano portati dietro gli schiavi africani e l’istituzione della schiavitù, e intendevano mantenerla nel nuovo insediamento, malgrado lì fosse sempre più osteggiata dalla legge e infine abolita del tutto. Quando il governo federale del Messico finì sotto la dittatura del generale Santa Anna, ci furono rivolte in parecchi stati, e i coloni texani ne approfittarono per conquistarsi l’indipendenza. Perché “il Texas deve essere un paese schiavista”, diceva il leader indipendentista e “padre del Texas”, Stephen Austin.
E così fu.
La guerra per l’indipendenza del 1836 fu una guerra in difesa della schiavitù, anticipando in questo la grande ribellione sudista del 1860-61. Gli abolizionisti negli Stati Uniti, fra loro l’ex presidente John Quincy Adams, la considerarono così, una rivolta di schiavisti. La resistenza di El Alamo alle truppe di Santa Anna,quando furono massacrati Jim Bowie e William Travis e Davy Crockett, fu un evento centrale di questa storia, diventato mito di fondazione del Texas – del Texas Anglo e bianco e sì, come direbbe il governatore Abbott, “eccezionale”. E fra i documenti fondanti del nuovo stato, se proprio si vuole tirarli fuori dal cassetto (ma a questo punto bisogna farlo), c’è la sua costituzione, la Costituzione della Repubblica del Texas del 1836.
Che nelle sue General Provisions dice così:
Sez. 9. Tutte le persone di colore che fossero schiave a vita prima delle loro emigrazione in Texas, e che ora sono in schiavitù, rimarranno in questo stato […]. Il Congresso non farà alcuna legge per proibire agli emigranti dagli Stati Uniti di portare con sé nella Repubblica i loro schiavi e di tenerli qui nella stessa condizione in cui erano tenuti negli Stati Uniti; né il Congresso avrà il potere di emancipare gli schiavi; né sarà consentito ai proprietari di schiavi di emanciparli senza il consenso del Congresso, ammenoché tali schiavi non siano mandati fuori dai confini della Repubblica. A nessuna persona libera di discendenza in tutto o in parte africana sarà permesso di risiedere permanentemente nella Repubblica senza il consenso del Congresso, e l’importazione o ammissione di africani o negri in questa Repubblica, eccetto che dagli Stati Uniti d’America, è proibita per sempre e dichiarata atto di pirateria.
Sez. 10. Tutte le persone (eccetto africani, discendenti di africani, e indiani) che fossero residenti in Texas nel giorno della Dichiarazione di indipendenza, saranno considerate cittadini della Repubblica, con tutti i privilegi che ne derivano. […]
Ovviamente non si tratta di inchiodare i texani di oggi, in tutte le loro diversità, alle parole e ai peccati del passato, di un passato che fra l’altro hanno condiviso con il resto degli Stati Uniti e che a un certo punto deve pur passare (per dire, persino i Texas Rangers non sono più un club per soli bianchi). Però, insomma, non è neanche il caso di inchinarsi alla cancel culture patriotticamente corretta.
- Un mass shooting evitato? Il prêt-à-porter dell’estremista di destra (Texas, 2021)
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