
I casi possono essere, con qualche semplificazione, due (la vita vera è poi assai più varia). Che cosa succede se il candidato presidenziale, per esempio il presidente in carica Trump, viene a mancare, diventa incapace perché malato grave, o peggio muore, prima delle elezioni – oppure se ciò accade subito dopo le elezioni al candidato risultato vincitore (se accade al candidato perdente, non importa a nessuno, e buona notte al secchio). In entrambi i casi è bene ricordare il fatto centrale delle elezioni presidenziali: a eleggere il presidente non è direttamente il popolo, ma sono i Grandi Elettori statali che formato l’Electoral College.
Prima delle elezioni, in linea generale, il nome del candidato diventato inutilizzabile (per esempio quello di Trump) può essere sostituito con un nuovo nome dall’organo di governo del partito di appartenenza, il partito che lo ha nominato tramite le sue procedure interne, primarie o altro. In questo caso, a provvedere, sarebbe dunque il Republican National Committee (RNC), il comitato centrale repubblicano.
Secondo il suo regolamento, il RNC ha tre membri per ogni stato o territorio, in tutto 168. I tre membri di ogni stato o territorio hanno a disposizione un numero di voti pari al numero di delegati che lo stato o il territorio aveva all’ultima party convention; possono attribuirli tutti, tutti insieme a un nuovo nome, se sono d’accordo; se no, ciascuno dei tre membri dispone di un terzo dei voti. Per non complicare troppo le cose, facciamo finta che il RNC converga piuttosto rapidamente, senza eccessivi litigi, magari a maggioranza, su un’unica scelta.
Perché è a questo punto che cominciano le vere complicazioni. Oggi come oggi è troppo tardi per riuscire a piazzare il nuovo nome nelle schede elettorali. Le schede sono già stampate, le voting machinessono già preparate, di più: moltissimi americani hanno già votato. E comunque le leggi dei singoli stati stabiliscono entro quanto tempo ci possano essere dei cambiamenti d’emergenza: i tempi sono scaduti ovunque. Il RNC può cercare di forzare la mano nei tribunali per ottenere qualche apertura, almeno negli stati in cui non c’è l’early voting, il voto anticipato (ma con il voto per posta come si fa?). Ma insomma, l’impresa è disperata.
Il nome di Trump, anche se l’uomo fosse venuto meno, anche radicalmente, cioè se fosse deceduto, resterebbe comunque in gara, potrebbe essere votato – e magari pure arrivare primo, vincere.
Cioè, in realtà: potrebbero vincere i Grandi Elettori che, stato per stato, raccolti in liste di partito, avendo raggiunto il numero magico di 270, si erano impegnati a votare per lui. E che ora devono riunirsi ed esprimere, stato per stato, il loro voto (quest’anno il 14 dicembre, più di un mese dopo Election Day). Se il candidato non c’è più, perché è venuto a mancare prima delle elezioni ma troppo tardi per essere cancellato dalle schede, oppure subito dopo le elezioni (e questo è appunto il secondo caso), sono di fatto sciolti dall’impegno. In parecchi stati sarebbero obbligati per legge a votare per il caro estinto, ma che senso avrebbe? E comunque le sanzioni per i disobbedienti sono solo simboliche. Insomma, i Grandi Elettori possono fare un po’ quello che gli pare.
In genere i Grandi Elettori sono scelti fra i party loyalists, i militanti più fedeli del partito. E’ quindi assai probabile che seguano le indicazioni di voto del partito stesso, in questo caso del RNC. Ma possono anche dividersi e frantumarsi, scegliere altri nomi. Se nel momento in cui il Congresso “conta” ufficialmente e quindi certifica i voti, in seduta congiunta il 6 gennaio, i Grandi Elettori non hanno votato in maggioranza (270 di loro) per un nuovo presidente, la palla passa alla Camera dei Rappresentanti.
- Terms of endearment (vezzeggiativi)
- America Anno Zero (Fondazione Feltrinelli): intervista ad Arnaldo Testi / Il sistema elettorale
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