Nel 1897 il professor William James, illustre filosofo e psicologo di Harvard (nonché fratello del romanziere Henry James), inaugura a Boston un monumento ai caduti unionisti della Guerra civile che è inusuale, unico ai suoi tempi.
Il monumento commemora infatti il primo reggimento afro-americano reclutato nel Nord, il 54th Massachusetts Volunteer Infantry Regiment, comandato da un giovane colonnello bianco, il venticinquenne Robert Gould Shaw, figlio idealista di una prominente famiglia abolizionista della città. Shaw e molti suoi uomini sono morti nel 1863 in un futile assalto a un forte confederato (Fort Wagner, vicino a Charleston, South Carolina), la loro morte trattata come una epica leggenda di martirio. Più di trent’anni dopo sembrano rivivere in una scultura in bronzo di Augustus Saint-Gaudens, nel Boston Common, di fronte alla State House. Non sto a descriverla qui, né a farne l’analisi critica (che meriterebbe, ma la farò altrove). Per il momento basta guardarne le immagini fotografiche.
Il monumento commemora dunque anche dei soldati neri, e li celebra come eroi. Lo fa in un momento in cui gli appelli alla pacificazione nazionale tendono a confondere e a nascondere la memoria delle vere cause della Guerra civile, cioè la schiavitù a base razziale del Sud e la spinta alla liberazione dei neri. Lo fa in un momento in cui in tutto il Sud trionfa la nuova segregazione razziale, il sistema Jim Crow, e comincia la grande ondata monumentale che esalta i campioni della secessione e della Lost Cause, i generali e i soldati bianchi confederati. Quello che diventa noto come il Robert Gould Shaw Memorial sembra dunque in controtendenza. E in controtendenza è l’orazione che James pronuncia di fronte alle autorità cittadine e statali.
James è esplicito sul senso del monumento in termini storici, razziali e sezionali. Per lui, dice, è sempre più chiaro che l’unico vero significato della Guerra civile è l’abolizione della schiavitù. Pensavamo di essere una repubblica dedita all’eguaglianza? Vivevamo invece nella vergogna. Coltivavamo la religione della libertà? Vivevamo nel suo tradimento. I soldati neri qui raffigurati sono stati agenti di verità, contro la nostra menzogna – pagata a caro prezzo. Neanche considerati esseri umani dagli schiavisti, marciano insieme al loro comandante con un unico scopo, una società migliore. La loro presenza dice che la religione della libertà (James è lincolnesque) non può e non deve scomparire dalla faccia della terra.
Noi, nel Massachusetts, ci crediamo.
James è esplicito sulla politica dei monumenti. Dopo tante statue ai grandi generali, e dopo le statue al generico, anonimo soldato che ormai si trovano nei parchi di ogni villaggio, qui abbiamo voluto il ricordo di un comandante con i suoi soldati, e i soldati non sono anonimi o astratti, ma sono raffigurati ciascuno come un singolo specifico individuo. Sono così vivi e palpitanti che “quasi possiamo ascoltare il loro respiro mentre marciano”. E mentre li guardiamo sappiamo che molti di loro e il loro capitano saranno presto morti e seppelliti dai confederati in una fossa comune – l’ufficiale bianco e i fanti neri, insieme, senza una pietra che li ricordi. “In morte come in vita, il 54th Regiment ha testimoniato della fratellanza degli uomini”.
James è esplicito, e malinconico, sulla politica della memoria. Monumenti come questo, dice, cercano di fare il loro lavoro civico di preservare il ricordo, ma il ricordo inevitabilmente svanisce. Qui conviene citare direttamente le sue parole (che traduco saltando qualche riga qua e là).
Come sono rapidamente dimenticate le cose umane! Mentre siamo qui questa mattina, il sole del Sud splende sul luogo della loro sepoltura, e le onde scintillano e i gabbiani volano sull’antico sito di Fort Wagner. Ma le grandi fortificazioni e il tonante cannone, i comandanti e i soldati, il feroce assalto respinto, tutto è affondato nell’azzurro golfo del passato, e per la maggioranza di questa generazione sono poco più di un nome astratto, un’immagine, il racconto di qualcuno. Solo quando ci capita fra le mani la foto ingiallita di un soldato, solo allora ci rendiamo conto della concretezza di quella lontana storia. Ma anche le fotografie presto sbiadiranno, e a tramandare il racconto resteranno solo i libri di storia e monumenti come questo. La grande guerra per l’Unione sarà come l’assedio di Troia, avrà preso il suo posto fra tutte le altre “vecchie, infelici, cose lontane e battaglie antiche”.
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Robert Musil scriveva negli anni Venti che “la cosa più strana nei monumenti è che non si notano affatto. Nulla al mondo è più invisibile”. Una volta che ci abbiamo fatto l’abitudine non li vediamo più. E tuttavia, conviene aggiungere, in certi momenti tornano improvvisamente visibili. Perché tornano a parlare e a dire cose rilevanti e controverse nella piazza pubblica.
Non so quale visibilità abbia avuto il Robert Gould Shaw Memorial nei decenni successivi alla sua inaugurazione. Ma all’inizio degli anni Sessanta non passò inosservato al poeta Robert Lowell che, nel mezzo delle tensioni razziali della città, fra il civil rights movement e le difficili integrazioni residenziali e scolastiche, gli dedicò alcuni dei suoi versi più noti, For the Union Dead.
E disse dei fanti neri e del colonnello bianco: “il loro monumento è conficcato come una spina di pesce nella gola della città”.
Their monument sticks like a fishbone / in the city’s throat.
Il testo completo dell’orazione di William James (piuttosto lunga come si usava allora, e certo non l’unica della giornata) è in Exercises at the Dedication of the Monument to Colonel Robert Gould Shaw and the Fifty-fourth Regiment of Massachusetts Infantry, May 31, 1897, Published by Order of the City Council of Boston, Municipal Printing Office, Boston, 1897, pp. 39-53.
La citazione, “old, unhappy, far-off things and battles long ago”, è dalla ballata di William Wordworth, The Solitary Reaper – la mietitrice solitaria.
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