Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

La questione dell’immigrazione nelle urne? Verso le elezioni americane di medio termine

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La questione dell’immigrazione è sempre politicamente esplosiva negli Stati Uniti, tanto più lo sarà in questo anno elettorale. Negli ultimi giorni, e infine nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 30 gennaio scorso, il presidente Trump ha fatto ai democratici una proposta di compromesso abile e concreta, che li ha messi di fronte a una scelta difficile, imbarazzante.

Trump ha accettato di proteggere i cosiddetti Dreamers, cioè quegli immigrati illegali che sono arrivati da bambini prima del 2007, portati dai loro genitori, che qui sono cresciuti, hanno fatto le scuole, hanno trovato impiego, messo su famiglia. E che ora, in quanto ancora undocumented, rischiano di essere espulsi, separati da coniugi e figli, verso paesi di origine che non hanno mai conosciuto.

La loro è una causa importante per i democratici, che nelle comunità immigrate hanno pezzi strategici di elettorato. Per difenderli, nei giorni scorsi, hanno minacciato e attuato il breve shutdown della macchina del governo. Obama aveva vietato la loro espulsione con un ordine esecutivo di controversa legalità ma di buon senso politico e sociale. Trump ha riaperto la ferita annunciando l’abrogazione di quell’ordine, com’è nelle sue prerogative, e attuando delle deportazioni mirate.

Ora il presidente sembra aver fatto marcia indietro. Oppure, come dicono i maligni, sta sfruttando a proprio vantaggio una crisi da lui creata volutamente, per avere una carta da giocare e pretendere qualcosa in cambio dall’opposizione. Alla quale ha offerto quella che appare come una seria riforma: la creazione di un percorso legale, prevedibile e sicuro, con cui 1,8 milioni di Dreamers potranno ottenere in 12 anni la piena cittadinanza.

In cambio, che cosa vuole? Be’, un bel pacchetto di cose.

Vuole un accordo sul finanziamento multimiliardario del famoso muro con il Messico. Vuole limitare i visti d’ingresso per riunificazione familiare, limitandoli al coniuge e ai figli piccoli di chi sia già immigrato legale (oggi sono inclusi anche genitori, fratelli e sorelle, figli adulti, mettendo in moto la chain immigration, immigrazione a catena). Vuole la fine del gioco di assegnare 50.000 visti l’anno tramite una lotteria. Vuole insomma un sistema di ammissione che sia più controllato e filtrato, basato sul merito, sugli skills individuali di chi vuole entrare nel paese.

Prendere o lasciare? Un bel dilemma per i parlamentari democratici. Soprattutto in vista delle elezioni di medio termine del prossimo novembre, e ancor di più, della stagione delle primarie che le precede, che si annuncia infuocata.

Denunciare – e questa è la prima ovvia tentazione retorica – la cinica operazione politica trumpiana che comporterebbe una drastica riorganizzazione in senso restrittivo e securitario delle politiche sull’immigrazione? D’altra parte: lasciare davvero nei pasticci quasi 2 milioni di giovani adulti avendo la reale possibilità di regolarizzarli? Quindi prendere la cosa sul serio e negoziare seriamente, con tutti i possibili compromessi del caso? E rischiare di essere attaccati da sinistra comunque vada a finire: per aver accettato l’infame muro o per aver scaricato i Dreamers?

In effetti, prendere o lasciare potrebbe diventare un problema anche per ampi settori dei parlamentari repubblicani, in vista delle loro primarie infuocate.

Che cosa accadrebbe se, per esempio, agli ultraconservatori venisse in mente di chiamare la soluzione proposta per i Dreamers con il suo giusto nome, cioè amnistia, sanatoria? Naturalmente l’ultima grande sanatoria di migranti illegali (3 milioni di loro) fu fatta nel 1986 da Ronald Reagan, mica da un bleeding heart liberal. Ma tant’è, oggi come oggi, nella annunciata guerra per procura fra l’ala del partito più establishment di Mitch McConnell, il majority leader al Senato, e quella più ultras ispirata da alcuni ricchi finanziatori e dal fantasma di Steve Bannon, quel nome potrebbe far scorrere il sangue. L’infame amnistia potrebbe diventare il simbolo del tradimento.

Le midterm elections, che in genere sono una specie di referendum sul biennio presidenziale appena trascorso, si terranno martedì 6 novembre 2018, fra pochi mesi insomma. Ci sono in ballo tutti i 435 seggi della Camera dei Rappresentanti (in maggioranza repubblicani), e 35 seggi del Senato, 33 per ricambio regolare e 2 con elezioni speciali per riempire posti resisi vacanti (quasi tutti democratici, solo 8 sono occupati da repubblicani). Nello stesso giorno si eleggeranno 36 governatori statali (di cui solo 8 democratici). Per la scelta dei candidati a tutti questi posti si delineano primarie molto combattute e affollatissime, quindi dall’esito incerto.

Categorie:Immigrazione, Uncategorized

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