Perché Donald Trump è così ossessionato dai numeri da farne oggetto di tweet bizzarri e di bizzarre divagazioni in discorsi ufficiali su tutt’altre faccende?
Perché è ossessionato dalle dimensioni delle (scarse) folle che lo acclamano, all’Inauguration Day o quando attraversa una qualche città? E soprattutto, perché è ossessionato dai suoi risultati elettorali, sufficienti fra i grandi elettori presidenziali (e infatti là siede) ma deludenti fra gli elettori comuni, i cittadini? Fino al punto di denunciare milioni di voti illegali che gli avrebbero negato la maggioranza del voto popolare – che invece è andata a Hillary “Nasty Woman” Clinton?
Per amor proprio offeso, è la prima ovvia risposta. Ma anche, credo, e probabilmente per istinto, senza rendersene ben conto, per amore offeso del populista che è in lui.
Gli studiosi dei moderni populismi dicono che una delle caratteristiche centrali, costitutive, di questi movimenti è la vocazione a trasformare le elezioni in un plebiscito per il loro leader carismatico. Ne parla per esempio Nadia Urbinati nel suo libro, Democracy Disfigured (2014).
Per parecchi analisti della moderna presidenza americana, essa ha acquisito caratteri plebiscitari. Il presidente, dicono, è di fatto eletto direttamente dal popolo in una grande campagna nazionale. Ritiene di avere un mandato politico popolare. Con il popolo stabilisce e mantiene, tramite i mass media, un rapporto di comunione che bypassa, e cerca di piegare ai suoi desideri, le istituzioni rappresentative intermedie come il Congresso e i partiti. Ne parlava già molti anni fa Ted Lowi in un capitolo del suo The Personal President (1985).
Qualunque siano i suoi istinti, Trump è da questi punti di vista un presidente populista dimezzato.
Trump non è arrivato alla Casa bianca con un plebiscito nazionale, come leader di un movimento con una maggioranza popolare. Vi è piuttosto arrivato a capo di un’ondata elettorale minoritaria canalizzata da uno dei due partiti principali. Ha vinto perché il presidente, di fatto e di diritto, non è eletto direttamente dal popolo; e perché la campagna elettorale non è nazionale. Ha vinto perché, paradossalmente, ha lavorato a suo favore il farraginoso sistema elettorale presidenziale, concepito dai Padri costituenti anche per ostacolare i demagoghi come lui.
Facendone tuttavia un presidente di minoranza.
E mi immagino che Trump lo sappia, lo senta, lo intuisca, e forse disturbi anche i suoi sonni e i suoi tweet notturni.
- Letture. Il mattatoio di Dresda, 13-15 febbraio 1945
- Le Tre Leggi Generali della Politico-Dinamica della Seconda Repubblica (Ted Lowi , 1931 – 17 febbraio 2017)
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