
Junius Brutus Stearns, Washington at Constitutional Convention of 1787, signing of U.S. Constitution, 1856
Nei primi anni di insegnamento del corso generale di storia degli Stati Uniti, molti anni fa, parlando delle origini della Costituzione, raccontavo di come i delegati dei vari Stati fossero arrivati alla Convenzione di Filadelfia del 1787: con il mandato di emendare quel tanto che basta (non tanto) la carta costituzionale esistente, cioè gli Articoli di confederazione, ma con la ferma intenzione di buttarla via e sostituirla con una nuova. E così fecero, andando oltre il mandato ricevuto (qui, a differenza che a lezione, non la faccio tanto lunga).
Mi capitava poi di commentare, ammicando un po’ (tongue-in-cheek si direbbe in inglese): “Insomma, una specie di colpo di stato”.
Ho smesso di farlo, a un certo punto (anche se, chissà, qualche volta mi scappa ancora). Ricordo anche distintamente di aver deciso di non mettere un commento del genere nel mio libro su La formazione degli Stati Uniti, dove uso invece una perifrasi. Che nella prima edizione 2003 è comunque criminalizzante, “Il processo costituente era iniziato in maniera illegale”. Mentre nella seconda edizione 2013 è, assai più blandamente, “Il processo costituente era iniziato in maniera anomala”.
La ragione è semplice, e di natura didattica: gli studenti possono essere spietati nel cogliere la parola-chiave che spiega tutto – e che rende inutile aggiungere altro.
Li interrogavo agli esami su come si fosse arrivati alla nuova costituzione federale, con quali idee e interessi e in nome di quali principi, e la risposta di parecchi di loro (non tutti, eh) era netta: “con un colpo di stato”.
Oppure, dopo il libro del 2003: “nell’illegalità più assoluta”.
Una volta affermato questo, tutto il resto (divisione dei poteri, checks & balances, presidenzialismo, federalismo, diritti degli Stati, compromessi, compromessi sulla schiavitù, scontri politici, dibattiti sulla ratifica, raffinate discussioni, elezioni, bill of rights, formazione dello stato nazionale ecc.) sono dettagli, sciocchezze, complicazioni su cui non vale la pena perdere tempo.
La faccenda del colpo di stato veniva fuori (e continua a farlo) anche in studenti non frequentanti – doveva essere finita negli appunti di qualcuno e quindi nella rete commerciale sottotraccia.
Tutto ciò mi è tornato in mente qualche tempo fa sfogliando un libro di Joseph Ellis, The Quartet: Orchestrating the Second American Revolution. L’autore si dilunga molto sulle spregiudicate manovre politiche e le forzature istituzionali con cui quattro padri costituenti, che ai suoi occhi sembrano gli eroici Magnifici Quattro, e cioè George Washington, John Jay, Alexander Hamilton e James Madison, riescono nell’intento di dare un governo unitario a 13 stati indipendenti e rissosi.
Ma soprattutto mi torna in mente ora che apprendo da una recensione sulla New York Review che la prima versione del libro, ancora in manoscritto, aveva proprio questo titolo – Founding Coup.
Forse l’autore l’ha cambiato per ragioni simili alle mie, o forse ci ha pensato il suo editore. Era troppo irriverente? Be’, nessuno si sarebbe scandalizzato: esiste una tradizione politica e storiografica che considera il 1787 l’anno di un colpo di mano contro-rivoluzionario rispetto al rivoluzionario 1776; una ipotesi forse ora un po’ troppo sposata dai blogger cospirazionisti di destra. Era forse, quel titolo, troppo stile tabloid, troppo click-baiting? Be’, avrebbe aiutato a vendere, no?
Comunque, sto ripensando alla cosa. Magari decido di cambiare di nuovo il testo del mio libro, nella prossima edizione. Intanto “colpo di stato” lo metto nel titolo di questo post, vediamo come funziona.
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Tag:Colpo di stato, Costituzione, Filadelfia, founding coup, padri costituenti
Funziona bene.
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Meno male:) . Grazie!
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