La notte delle primarie di New York, a festa finita, Bernie Sanders si è lamentato delle regole del gioco. Nello stato, ha detto, le primarie sono chiuse, sono riservate agli elettori che si registrano come democratici o repubblicani. E così “tre milioni di newyorkesi non sono stati in grado di votare perché si sono registrati come indipendenti. Ciò per me non ha alcun senso”. Qualche ora prima l’aveva messa giù più dura, dicendo che gli indipendenti avevano “perso” il diritto di partecipare: verbo sbagliato, perché quel diritto non l’hanno mai avuto.
Le primarie chiuse sono primarie chiuse proprio per questo, perché sono chiuse, e a New York lo sono dalle origini. D’altra parte, a rigor di logica, perché mai i partiti dovrebbero ammettere alla selezione dei propri candidati dei cittadini a cui non piace essere associati neanche con i nomi dei partiti stessi?
Le parole di Bernie sono subito entrate a far parte di una narrazione che sta montando fra i suoi seguaci più duri, i Berniecrats, quelli “Bernie o niente”, quelli che giurano che mai voterebbero un altro candidato, tanto meno la corrotta Hillary Clinton; di più, quelli che giurano che mai voterebbero il partito. E la narrazione è questa, e non so quanto sia incoraggiata o scoraggiata dalla campagna ufficiale: perdiamo perché il sistema è truccato, i risultati sono illegittimi, ci rubano l’elezione. Nel caso specifico, perdiamo perché i party bosses non consentono agli indipendenti, cioè a noi, di votare.
Anche qui, a rigor di logica, la logica fa un po’ difetto: l’establishment del partito è accusato di impedire la partecipazione alla sua vita interna a chi il partito lo disprezza di cuore. Potrebbe avere qualche buona ragione, dopo tutto.
In effetti le primarie newyorkesi sono farraginose (tutto l’apparato elettorale lo è, e sospetti di errori, pasticci e brogli emergono con regolarità, secondo una cara vecchia tradizione). In particolare c’è una regola molto onerosa: è possibile iscriversi nelle liste e scegliere il partito solo fino a sei mesi prima delle primarie, quando la competizione non ha ancora preso forma e gli elettori neanche ci pensano. Questa regola ha punito anche i simpatizzanti di Donald Trump, persino due suoi figli non si sono registrati come repubblicani quando dovevano farlo, l’ottobre scorso. E quindi non hanno potuto votare per daddy.
I Berniecrats hanno così avviato una petizione popolare per chiedere primarie aperte, la prossima volta. E su questa strada, in teoria, potrebbero incontrare un improbabile e paradossale alleato, il potente senatore democratico Chuck Schumer, il primo sponsor di Hillary for President fin dal 2013
Un paio d’anni fa, Schumer aveva infatti proposto una riforma importante con un articolo sul New York Times dal titolo chiaro: “End Partisan Primaries, Save America: Adopt the Open Primary”. Dall’evidenza interna al testo sembra che si parli di primarie statali, non presidenziali. Ma sono le motivazioni della riforma a essere interessanti. Le primarie chiuse, diceva Schumer, favoriscono le ali estreme degli elettori più fedeli dei partiti, e quindi la polarizzazione politica che sta minacciando il funzionamento del governo. Tenendo fuori gli indipendenti, tengono fuori l’ampio centro moderato.
Che gli indipendenti siano moderati centristi, è stato a lungo il senso comune non solo di Schumer ma della vita politica e della scienza politica. Aprire i partiti alla loro influenza è la ragione che, negli ultimi decenni, ha spinto molti stati a passare dalle primarie chiuse a quelle aperte (le primarie chiuse sopravvivono in una dozzina di stati). Ho trovato chiacchiere non confermate, e che per il momento non sono in grado di confermare, secondo le quali, fra i democratici degli anni 1990s, sarebbero stati gli stessi Bill & Hillary Clinton e i New Democrats a spingere in questa direzione – per conquistare il partito da destra.
Ma qui sta l’inghippo. Ora le parti si sono rovesciate. Le ricerche politologiche, e l’esperienza diretta delle primarie di quest’anno, dicono che gli indipendenti non sono più quelli che stanno nel centro dello schieramento politico. Anzi, sono gli elettori più estremisti, arrabbiati e polarizzati, che accusano i partiti di essere poco conservatori o poco progressisti per i loro gusti. E allora, in casa democratica, sono i Berniecrats a rivendicarli, a volerli includere nelle primarie – per cercare a loro volta di conquistare la candidatura di partito da sinistra.
E chissà se l’Hillarista senatore Schumer è ancora disposto a stare al gioco, essendo così cambiate le circostanze e le convenienze della vita.
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POST SCRIPTUM. In questa intervista a Rolling Stone, Bernie Sanders ripete il suo attacco alle elezioni primarie “chiuse”, in cui votano solo gli elettori che si registrano per quel partito. E lo fa con considerazioni che mi sembrano interessanti e curiose se fatte da lui, un socialdemocratico vecchio stile, e non, com’è in genere il caso, dai critici postmoderni della party politics, quelli che vorrebbero che le elezioni primarie fossero aperte, apertissime, spalancate, anzi non-partisan, e che i partiti si dissolvessero nell’aria.
Perché le primarie, sembra dire Sanders, non sono roba dei partiti, sono pagate dal denaro pubblico cioè dai contribuenti e quindi, a rigor di logica e anche di legge, dovrebbero essere aperte a tutti. E perché non c’è alcuna sostanziale differenza di elettorato fra le elezioni primarie e quelle generali.
Dobbiamo cambiare le regole che governano il partito democratico. Per prima cosa, penso che l’idea delle primarie chiuse sia un’idea stupida.
Perché?
Perché gli americani, in numero sempre maggiore, non si riconoscono nella politica del partito democratico o di quello repubblicano – per una serie di ragioni. Alcuni di loro pensano che il partito democratico sia troppo conservatore. In ogni caso, sono indipendenti. In tre milioni, nello stato di New York, non hanno potuto votare nelle primarie democratiche o repubblicane per il presidente degli Stati Uniti. Ciò è palesemente assurdo. Si potrebbero quasi sollevare dei problemi legali. Sei un elettore indipendente a New York, paghi per quelle elezioni, che sono condotte dallo stato. Ma non puoi votare? Pensaci un attimo. E’ anche assurdo da un punto di vista politico, perché poi gli indipendenti votano alle elezioni generali. Quindi quello che dici è: “Non puoi votare ora, e non vogliamo che tu venga nel nostro partito. Ma potrai votare più tardi”. Penso che sia stupido. Visto che tanti giovani sono indipendenti, dovremmo dar loro il benvenuto.
E’ possibile, come accade ai politicians, che si tratti di reazioni immediate e di convenienza alle circostanze di questa specifica campagna elettorale (esemplificate dalle vicende del New York State). Se prese sul serio e in prospettiva strategica, tuttavia, fanno pensare. Prima di essere eletto in Congresso come indipendente, Bernie ha iniziato la carriera da esponente di un partito, un “terzo partito”; molti dei suoi seguaci più radicali gli chiedono ora di formarne un altro, o magari di unirsi al Green Party. Chissà se il nuovo partito, lui e i suoi seguaci, lo vorrebbero così: aperto alle incursioni di tutti i contribuenti del paese che ne avessero voglia.
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