All’inizio degli anni sessanta, nel 1963 o forse nel 1964, il poco più che ventenne Bernie Sanders passò alcuni mesi in un kibbutz in Israele. Questo si sapeva, sta nel suo resumé. Non si sapeva in quale kibbutz, perché l’attuale senatore e aspirante presidente Sanders non ne aveva mai fatto il nome. Ora, da qualche giorno, si sa. L’ha scoperto un giornalista israeliano e ne sono state trovate tracce frugando nell’archivio del quotidiano Haaretz.
Il kibbutz era Sha’ar Ha’amakim, tutt’ora esistente vicino a Haifa. Era stato fondato nel 1935 nella Palestina sotto mandato britannico. Da membri di Hashomer Hatzair (“la giovane guardia”), un movimento giovanile sionista nato un secolo fa in Galizia, nell’impero austro-ungarico, e anch’esso ancora vivo e vegeto. Un movimento robustamente laico – e socialista.
“Sorpresa: il kibbutz è socialista”, titola con ironia un articoletto del New York Times, che resta sul generico, non da molto peso alla cosa, e forse non vuole darglielo (tutto è socialista ciò che tocca Sanders, buttandola un po’ sul folklorico).
Ma si fa presto a dire “socialista”, e anche a dire “kibbutz”.
Socialista di quale parrocchia, esattamente? Be’, era socialista come si usava in una parte significativa della sinistra israeliana. Hashomer Hatzair era una componente del partito Mapam, a sinistra del Labor party, con una forte simpatia per il comunismo, l’Unione sovietica e Stalin, da cui cominciò a prendere le distanze solo dopo il 1956. Al momento della visita di Sanders, la simpatia era un po’ evaporata ma ne restavano i segni, le bandiere rosse, il rito dell’Internazionale.
Così alcuni critici della destra americana non hanno dubbi, si trattava di un kibbutz comunista, stalinista, ovvero marxista-stalinista. E le conseguenze politiche che ne traggono sono ovvie. Sanders era là, dicono, perché era così anche lui, e ha continuato a esserlo, con le sue visite in Unione sovietica, nel Nicaragua sandinista, a Cuba. Ha un bel dire, ora, di essere un socialista democratico. In realtà non risulta che abbia mai ripudiato le sue antiche inclinazioni, appunto, staliniste.
La faccenda presenta una ulteriore complicazione. Gli attivisti di Hashomer Hatzair, mi sembra di capire, avevano dato il loro serio contributo alla costruzione di Israele, nella milizie e poi nell’esercito e nel governo. E tuttavia sostenevano i diritti degli arabi palestinesi, e volevano uno stato bi-nazionale. Ciò consente a questi critici di dire che Sanders era andato da loro non perché gli piacesse Israele, ma perché gli piacevano coloro che si proponevano di distruggerla.
Si affacciano anche i critici di sinistra, com’è inevitabile. E qui in questione non è più la storia del socialismo ma quella di Israele. Che cosa ci faceva Bernie, ci si chiede, in una comune agraria molto socialista ma che stava su terre sottratte ai residenti arabi, vittime di una pulizia etnica nel 1935? La terra era stata comprata da proprietari assenteisti, ma poi le famiglie dei fittavoli erano state allontanate con le buone o con le cattive? Insomma, era un settlement simile a quelli di oggi nella West Bank?
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Categorie:campagna elettorale
Tag:Bernie Sanders, Israele, kibbutz, sionismo, socialismo
Ciao! Bell’articolo, io studio scienze politiche ma non sono un grande esperto di Stati Uniti. Mi piacerebbe chiederle: ma nella politica americana conta così tanto, come emerge da sceneggiati o film come House of Cards, la “limpidezza” della propria vita e immagine pubblica? Grazie, Guglielmo
http://www.ilruggitodellapecora.wordpress.com
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Diciamo che se ne parla molto, poi a volte la cosa è più importante di altre, a volte è più importante per i giornalisti che per gli elettori. Un po’ come in Italia, no? Con Sanders hanno appena cominciato a prenderlo sul serio, e quindi a metterlo sulla graticola. Grazie per l’apprezzamento!
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Grazie della risposta. Sì, ma Sanders in Italia interessa per l’aria di novità propria dell’outsider, mentre sugli altri candidati non mi pare ci sia una ricerca così approfondita (a parte per Trump, che però non viene certo da una storia così misteriosa)
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Trump è un caso interessante, si sa tutto di lui, e quindi non scandalizza niente.
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Su Hillary è un quarto di secolo che ci lavorano.
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