Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Obama e le Crociate: religione e politica

020815_obama_crusadesRiporto qui sotto alcuni passaggi del discorso di Barack Obama al National Prayer Breakfast, un evento annuale incentrato sulla “preghiera comune” fra le varie comunità religiose, che si è tenuto a Washington, D.C., qualche giorno fa (il 5 febbraio 2015). La traduzione e i titoletti sono miei. Il testo integrale in inglese è nel sito della Casa bianca

In questi passaggi Obama dice che tutte le religioni, anche la nostra, non solo quelle altrui, hanno avuto e hanno delle “tendenze peccaminose” a commettere delitti atroci in nome di Dio: nessuno è davvero innocente. Una affermazione banale da un punto di vista storico ma che, pronunciata dal capo del governo, in questo momento, ha sollevato un gran putiferio pubblico. Che motivo c’è, si è detto, di tirar in mezzo i secoli passati, la schiavitù, addirittura le Crociate – una parola così insidiosa, così carica di significato per gli islamisti fondamentalisti ancora oggi? Non significa fornire argomenti al nemico?

Obama dice che nel mondo, nella vita secolare, in politica, non possiamo pretendere di sapere che Dio è con noi: non lo sappiamo, e quindi conviene agire con laica umiltà. Qui ci sono eco del suo presidente preferito, Abraham Lincoln (“L’Onnipotente ha i suoi disegni, i suoi scopi”), e del suo filosofo e teologo preferito, Reinhold Niebuhr. Di cui mi limito a riportare una citazione: “Tutti gli uomini sono naturalmente inclini a oscurare gli elementi moralmente ambigui della loro causa politica attribuendogli una santità religiosa. E’ per questo che la religione in politica è più spesso fonte di confusione che di luce. La tendenza a equiparare le nostre convinzioni politiche alle nostre convinzioni cristiane fa sì che la politica generi idolatria”.

Obama dice infine che la libertà di religione e la libertà di parola sono inseparabili: non si può negare l’una senza negare l’altra. Mette dunque i piedi nel piatto dei dibattiti post-Charlie Hebdo. La libertà di parola implica la protezione legale persino dell’insulto alle convinzioni altrui (ricordate la libertà dei nazisti dell’Illinois di marciare con le loro insegne attraverso un quartiere ebraico? La libertà di bruciare la sacra bandiera nazionale?). Ma implica anche la libertà di criticare chi insulta e di battersi politicamente e culturalmente per un po’ di civility – cioè la buona educazione civile in società multireligiose dove tutti devono sentirsi bene accolti, ed eguali.

Nessuno è innocente: neanche noi

Vediamo le guerre settarie in Siria, l’assassinio di musulmani e cristiani in Nigeria, la guerra religiosa nella Repubblica Centrafricana, la marea montante dell’anti-semitismo e dei reati d’odio in Europa, così spesso perpetrati in nome della religione. Come possiamo, in quanto persone di fede, riconciliare queste realtà – il bene profondo, la forza, la tenacia, la compassione e l’amore che possono fluire da tutte le nostre fedi, con coloro che cercano di impadronirsi della religione ai propri fini di morte?

L’umanità si è trovata alle prese con queste questioni nel corso di tutta la sua storia. E per evitare di montare in cattedra e pensare che ciò riguardi solo qualche altro posto, è bene ricordare che durante le Crociate e l’Inquisizione la gente ha commesso atti terribili in nome di Cristo. Nel nostro Paese la schiavitù e le leggi Jim Crow troppo spesso sono state giustificate nel nome di Cristo. […]

Così queste cose non sono tipiche di un solo gruppo o di una sola religione. C’è una tendenza in noi, una tendenza peccaminosa che può traviare e distorcere la nostra fede. Nel mondo di oggi, in cui gli hate groups dispongono di Twitter e il fanatismo si nutre nei luoghi più nascosti del cyberspazio, può essere ancora più difficile combattere questa intolleranza. Ma Dio ci obbliga a provare. E in questa missione credo che ci siano alcuni principi che possono guidarci – in particolare quelli fra noi che sono credenti.

Un po’ di umiltà: Dio non parla solo a noi

Prima di tutto dovremmo cominciare con un po’ di umiltà. Credo che il punto di partenza della fede debba essere il dubbio – non essere così pieni di noi stessi e così fiduciosi di essere nel giusto e che Dio parli solo a noi e non parli ad altri, che Dio si preoccupi solo di noi e non degli altri, che in qualche modo noi soli possediamo la verità.

Il nostro compito non è chiedere a Dio di certificare la nostra idea di verità – nostro compito è essere fedeli al Suo spirito, alla Sua parola, ai Suoi comandamenti. E dovremmo umilmente partire dal presupposto che siamo confusi e che non sempre sappiamo quello che facciamo e che avanziamo barcollando incerti verso di Lui, e che dovremmo mostrare umiltà in questo percorso.

E così, in quanto persone di fede, siamo chiamati a respingere coloro che cercano di distorcere la nostra religione – qualunque religione – ai loro fini distruttivi. E qui in patria e in tutto il mondo, riaffermeremo costantemente quella libertà fondamentale – la libertà di religione – il diritto di praticare la fede come riteniamo meglio, di cambiare fede se così decidiamo, di non praticare alcuna fede se così vogliamo, e di essere liberi da persecuzioni e paure e discriminazioni.

Libertà di parola e di religione: inseparabili

C’è saggezza nei documenti dei Padri fondatori che hanno fondato questa nazione sull’idea di libertà di religione, perché essi capivano la necessità dell’umiltà. Capivano anche il bisogno di tutelare la libertà di parola, la connessione fra libertà di parola e libertà di religione. Perché violare un diritto con il pretesto di proteggerne un altro è un tradimento di entrambi.

Appartiene all’umiltà anche riconoscere che nelle società moderne, complesse, diversificate, il funzionamento di questi diritti, l’interesse a proteggere questi diritti richiede a ciascuno di noi di esercitare civility, moderazione e giudizio. E se difendiamo, come difendiamo, il diritto legale di una persona di insultare la religione di un’altra, siamo egualmente tenuti a usare la nostra libertà di parola per condannare quegli insulti e stare a fianco delle comunità religiose, soprattutto delle minoranze religiose che sono bersaglio di questi attacchi. Solo perché abbiamo il diritto di dire qualcosa non significa che il resto di noi non possa contestare coloro che insultano in nome della libertà di parola. Perché sappiamo che i nostri paesi sono più forti quando genti di tutte le fedi si sentono bene accolte, sentono di essere membri pienamente eguali della società.

Categorie:Barack Obama, Cultura politica, religione

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