Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Sul diritto del popolo alle armi negli Stati Uniti: violenza rivoluzionaria, violenza civile, violenza privata

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U.S. Constitution Amendment II:  “A well-regulated militia being necessary to the security of a free State,the right of the people to keep and bear arms shall not be infringed”.

1. Gli Stati Uniti sono un paese che nasce da una rivoluzione popolare e da una Dichiarazione di indipendenza – che proclama il diritto alla rivoluzione e alla violenza rivoluzionaria, e che afferma se stessa con le armi. Un paese che, dopo più di due secoli, continua a celebrare quella rivoluzione come atto di nascita – senza soluzione di continuità.Un paese in cui la retorica pubblica ma anche la cultura politica esociale diffusa – continuano a coltivarne (della rivoluzione) una memoria attiva e presentista, come se fosse successa ieri. In cui volentieri si ripete il mantra che la rivoluzione continua a fertilizzare la società, è ancora una forza propulsiva di cambiamento. Insomma – il mantra che la rivoluzione americana non sia mai finita.

Che fare allora della memoria e della retorica della violenza che sono associate alla rivoluzione stessa? Continuano anch’esse ad agire nella società, con qualche sorta di legittimità originaria? Questa è stata la suggestione iniziale di un tema enorme, di cui volevo trovare un filo conduttore che mi consentisse di parlarne in una ventina di minuti – e che quindi fosse specifico, sintetico, focalizzato. Il filo conduttore l’ho trovato nella discussione che si è rinnovata negli Stati Uniti, in queste ultime settimane, sul significato del Secondo emendamento alla Costituzione, quello sul diritto dei cittadini ad avere armi. Una discussione drammatica, ma affascinante dal punto di vista storico e storiografico, che val bene una ricerca più approfondita.

Una ricerca per me molto agli inizi. Di cui dirò solo alcune cose. Intanto anticipandone subito qualche conclusione, molto provvisoria. E’ evidente all’analisi storica che il testo del Secondo emendamento parla di violenza militare organizzata nelle milizie degli Stati – al termine di una rivoluzione. Questa evidenza filologica, tuttavia, non risolve il problema dell’interpretazione che di quell’emendamento è stata data da chi lo lesse allora, e del significato che ha assunto nei secoli successivi fino a oggi. Il testo è esplicito. Il sottotesto politico, culturale e sociale è ambiguo, complesso, conflittuale – e per questo è interessante.

Il rapporto fra testo e sottotesto ha generato una sorta di “popular constitutionalism” – una interpretazione popolare della costituzione che ha trasformato in senso comune, fondato sulla memoria attiva della rivoluzione, l’idea che il diritto alle armi sia un diritto individuale, civile di tutti. Fino al punto che il senso comune è stato fatto proprio, consacrato negli ultimissimi anni dalla stessa Corte suprema federale, e infine dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (“Come molti americani, credo che il Secondo emendamento garantisca un diritto individuale a portare armi”, gennaio 2013). In questo intervento non arriverò, non posso arrivare fino a questi sviluppi contemporanei. Presenterò alcune considerazioni sulle origini settecentesche di questa controversia, con alcune code finali che alla contemporaneità introducono soltanto.

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2. Che l’Emendamento abbia un significato militare, che faccia riferimento alle milizie organizzate dei singoli Stati dell’Unione – non ci sono dubbi. Basta guardare al testo, dove il divieto di violare il“diritto del popolo di detenere e portare armi” è connesso all’esistenza di “una milizia ben regolata” – “necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero”. Basta guardare al linguaggio stesso, che è linguaggio militare – e qui conviene restare al testo inglese. “To keep and bear arms” non significa “possedere e portare (in casa o in giro per strada) armi”. Significa, alla lettera, essere equipaggiati e pronti a combattere, a fare la guerra. Si può bear arms (il latino arma ferre, arma conferre) contro il nemico – non contro i criminali o i vicini di casa.

Praticamente tutte i dibattiti formali del periodo in cui l’Emendamento fu concepito, nel 1787, e infine ratificato, nel 1791, confermano questo fatto: il popolo armato e addestrato allo scopo è garanzia di libertà repubblicana, sono i governi tirannici ad aver paura del popolo, a disarmarlo, a preferire eserciti permanenti di professione. Lo conferma ancora la prima stesura del testo, preparata da James Madison, che contiene una clausola finale poi eliminata – che è molto esplicita, è la clausola che salvaguarda l’obiezione di coscienza religiosa, cioè civile, a servire: “but no person religiously scrupulous of bearing arms shall be compelled to render military service in person.” Ora, tutto ciò sembra molto lineare. E tuttavia la storia è più complessa, a cominciare dalla storia stessa dell’Emendamento alla sua nascita. Non tutti, anche fra i suoi fautori, lo intendono allo stesso modo.

Dal punto di vista di Madison, che è un Federalista, cioè un sostenitore del governo federale forte creato dalla nuova Costituzione, il Secondo emendamento è parte di un complesso tentativo di limitare il potere degli Stati, abituati ad agire come sovrani durante la Rivoluzione – e di togliere autonomia alle loro milizie. Il corpo centrale della Costituzione, prima dell’Emendamento, stabilisce infatti che le milizie sono sì statali per struttura e comando in tempi ordinari – ma che è il Congresso federale ad avere l’autorità di stabilire i comuni criteri di selezione, arruolamento, armamento e disciplina del personale, e anche di prenderne il comando in tempi di emergenza. L’Emendamento non tocca questo punto cruciale, lo copre, lo dissimula.

Questo dal punto di vista di Madison e dei Federalisti. E tuttavia ci sono gli Anti-federalisti (George Mason, Patrick Henry), che si oppongono alla nuova Costituzione. Che difendono i diritti degli Stati. E che hanno idee opposte. Ritengono che le milizie servano a difendere gli Stati contro un governo federale potenzialmente tirannico. Ritengono che la pretesa della Costituzione di selezionarne e disciplinarne il personale sia illegittima (vi si oppongono inutilmente). Ritengono che tutti i cittadini, senza alcuna selezione, debbano parteciparvi – addestrati alle armi fin da giovani. E intendono il Secondo emendamento come una loro conquista, una salvaguardia delle libertà statali (e quindi popolari) contro il governo centrale – anche se sospettano che non sia salvaguardia sufficiente.

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3. C’è qui, dunque, un dualismo interpretativo forte, che ha sviluppi storici di lungo periodo – fino a oggi. Ma la storia è ancora più complicata. Dal punto di vista di tutti i ceti dirigenti, l’intera operazione sulle milizie. milizie che hanno da essere ben regolate, è un tentativo di controllare la violenza rivoluzionaria che continua a covare nella società. Che si traduce anche in sporadiche insurrezioni contro i governi statali, accusati di tradimento degli ideali rivoluzionari. Su questo la Costituzione è chiara: fra i compiti delle milizie vi è quello di “reprimere le insurrezioni” interne. Il punto è che gli insorti sono veterani della rivoluzione che rivendicano il loro diritto a ri-prendere le armi – in quanto continuatori dell’azione rivoluzionaria, vera milizia popolare, titolari di un diritto alla resistenza repubblicana scritto della Dichiarazione di indipendenza.

E c’è ancora di più, nella cultura politica e sociale dei nuovi Stati, e prima delle colonie. La pratica delle armi è diffusa, è un fatto della vita. Per alcuni versi affonda le radici nella common law e nei privilegi degli inglesi (di certi inglesi), che in Nord America diventano privilegi e poi diritti di tutti. Ma anche qui non proprio di tutti – bensì di tutti i cittadini bianchi. Le milizie armate volontarie, prima e dopo la Rivoluzione, sono anche uno strumento delle comunità euro-americane per controllare gli schiavi africani e gli americani nativi. Tutti gli statuti vietano agli schiavi (e spesso ai neri liberi) il possesso di armi, e ai neri e agli indiani di servire nelle milizie. In una società di tipo coloniale sempre sull’orlo della violenza razziale, un’arma da fuoco significa accesso al potere.

Da qui deriva un ultimo passaggio, cruciale. La difesa razziale è certamente un’impresa organizzata e collettiva – nelle slave patrols nel Sud schiavista, nel piccolo esercito federale che fa le guerre anti-indiane sulla frontiera. Ma data l’estensione del territorio e la scarsità di popolazione – nelle piantagioni (una famiglia di padroni e pochi sovrintendenti bianchi circondati da molti schiavi neri) e nelle campagne più occidentali (famiglie di farmers circondate dai nativi), la difesa razziale diventa anche auto-difesa personale, della casa, del focolare domestico. La proprietà di un’arma da fuoco diventa diritto chiaramente individuale, non solo collettivo – diventa simbolo e attributo della cittadinanza repubblicana bianca. Questo diritto appare come elementare, scontato – infine più o meno confermato dal Secondo emendamento.

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4. Queste interpretazioni conflittuali del diritto di portare armi, questi umori restano e agiscono nella storia americana dei due secoli successivi. Accompagnano in sottotraccia la versione “ufficiale” del significato del Secondo emendamento. Accompagnano la memoria della rivoluzione e contribuiscono a definire il patriottismo e la cittadinanza. E vengono in primo piano in periodi di grandi tensioni sociali e politiche – quando, dal punto di vista di alcuni, può sembrare che la repubblica e la libertà siano in pericolo. E allora il ricorso alla minaccia o alla pratica della violenza civile armata, collettiva e individuale, diventa una possibilità affermata in nome dell’antica rivoluzione.

Resta dunque l’idea (anti-federalista) che le milizie servano alla difesa degli Stati contro un governo federale invadente e autocratico – fino alla possibilità della guerra civile. La Guerra civile vera, quella con la maiuscola dell’Ottocento, e la guerra civile fantasticata dai movimenti della destra radicale di oggi, che si autodefiniscono militia movements in nome dell’antica rivoluzione. Resta l’idea (coloniale) che le milizie popolari e volontarie, se necessario clandestine, servano alla difesa razziale del popolo bianco – fino alla violenza strisciante o dispiegata del Ku Klux Klan e alle fantasie sulla “invasione” dei popoli di colore nell’America di oggi. In nome dei veri valori della rivoluzione.

Resta infine l’idea (rivoluzionaria) che esista il diritto all’autodifesa armata, collettiva e individuale, da parte di cittadini che si sentano deboli, poco o per niente protetti, minacciati, oppressi. Pretendono e praticano questo diritto gli ex-schiavi neri nel Sud post-Guerra civile, quando difendono con le armi la loro conquistata libertà. Lo pretendono e praticano anche, in varie fasi della “guerra di classe” fra Ottocento e Novecento, molti lavoratori industriali in scioperi e agitazioni durissime. Lo pretendono infine, nel cuore delle violenze civili, razziali e politiche degli anni sessanta, i militanti neri – quelli più radicali, da Malcolm X ai nazionalisti agli esponenti del Black Power, e anche quelli cosiddetti “non-violenti” del civil rights movement meridionale, impegnati nella loro “seconda guerra civile”.

Qui, fra i radicali neri, emerge un appello esplicito e in qualche modo nuovo al Secondo emendamento come garanzia del diritto dei cittadini di possedere e portare armi, e di provvedere all’autodifesa in una società conflittuale. Il programma ufficiale del Black Panther Party dice appunto: “Il Secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti dà il diritto di portare armi. Crediamo perciò che tutto il popolo nero dovrebbe armarsi per auto-difesa”. Il paradosso finale, naturalmente, è che dagli anni settanta in poi l’egemonia su questo discorso viene conquistata dai movimenti conservatori di destra, con in testa una ri-politicizzata National Rifle Association – e trova radici nel senso comune di molti bianchi spaventati dai cambiamenti in atto. Anche la loro retorica si alimenta di una continuità diretta con la rivoluzione e il Secondo emendamento: “Se ci tolgono le armi, ci privano del nostro diritto costituzionale – ri-faremo il 1776”. Qui siamo davvero all’inizio del dibattito contemporaneo, e qui mi fermo.

Traccia di intervento alla Giornata di studi in onore di Gabriele Ranzato (Università di Pisa, 7 febbraio 2013) sul tema“Considerazioni storiche e culturali sulla violenza: guerra, guerra civile, rivoluzione”.

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Categorie:Cultura politica, violenza

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