Si dice Buon Natale o auguri per le feste o auguri di stagione? Soprattutto, come dicono o dovrebbero dire le figure pubbliche, le istituzioni che tutti rappresentano? Nel biglietto ufficiale della Casa bianca per le festività di questo dicembre 2012, del Natale e dei suoi simboli non c’è traccia. La holiday card dice soltanto, “In questa stagione, possa la vostra casa essere colma di famigliari e amici e della gioia delle feste”. Ed è illustrata con un disegno del cane di casa, Bo, con una sciarpa al collo, che scorazza nel prato innevato della residenza presidenziale. (Vanity Fair America ha intitolato divertita “Bo Obama: il vero significato del Natale”).
Gli auguri di Natale Obama li ha fatti (farà anche la cena di Natale, nello stato natìo, le Hawaii, in una pausa dei negoziati dell’ultimora sul fiscal cliff). Ma non fa solo quelli. A metà dicembre ha mandato un messaggio e ospitato un ricevimento per ricordare Hanukkah, la festa ebraica delle luci. Il 26 dicembre saluterà chi festeggia Kwanzaa, una recente ricorrenza laica in cui, nella settimana fino al 1 gennaio, molti neri americani celebrano le loro radici africane. E come dimenticare che l’estate scorsa ha salutato “gli americani musulmani e i musulmani di tutto il mondo” all’inizio e alla fine del Ramadan, e invitato alcuni di loro a un Iftar – la cena dopo il tramonto che rompe il digiuno?
Qualcuno si è arrabbiato: forse il presidente, questo presidente, Barack Hussein Obama (e ci siamo capiti), “fa la guerra” al tradizionale Natale americano, alla festività cristiana? Be’, non è proprio così. Esattamente le stesse cose ha fatto George W. Bush, per Kwanzaa e per Hanukkah e Ramadan – messaggi e ricevimenti e tutto (alla fine, mi sembra di capire, con cibo appropriatamente kosher o halal, a seconda dei casi). E prima di lui, in vari modi, anche Bill Clinton e altri ancora. Perché da qualche decennio la Casa bianca riconosce che gente diversa celebra feste diverse. Che in una società multireligiosa non tutti sono cristiani. E che nessuno deve essere e sentirsi escluso dalla comune cittadinanza.
In effetti, i primi messaggi e i primi biglietti d’auguri presidenziali, negli anni venti del Novecento, erano dedicati solo al Natale. Ancora John Kennedy poteva scrivere, con un linguaggio che voleva essere ecumenico ma che oggi suona imbarazzante: “I musulmani, gli induisti, i buddisti, come i cristiani, riposano dalle loro fatiche nel venticinquesimo giorno di dicembre per celebrare la nascita del Principe della Pace” – “non ci potrebbe essere prova più straordinaria che Natale è davvero la festa universale di tutti gli uomini”. Comunque già i tempi stavano cambiando. Già parecchie holiday cards della Casa bianca di Kennedy, così come quelle del predecessore Dwight Eisenhower, dicevano sobriamente “Season’s Greetings”.
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Negli anni novanta anche le poste americane hanno cominciato a celebrare queste festività – accanto alla tradizionale celebrazione del Natale (tradizione recente, in verità: il primo Christmas stamp è del 1962). Sotto l’amministrazione Clinton, il U.S. Postal Service ha emesso i primi francobolli commemorativi di Hanukkah, nel 1996, e di Kwanzaa nel 1997. Il primo francobollo commemorativo di Eid ul-Fitr, il giorno di inizio del Ramadan, e di Eid al-Adha, la festa musulmana del sacrificio, è stato emesso sotto l’amministrazione di George W. Bush – il 1 settembre 2001, dieci giorni prima della data fatale.
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