Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Ombre nere e ombre rosse

 

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Sul Foglio di venerdì 12 giugno, un articolo di Maurizio Crippa mi ha stimolato a riflettere su un altro film hollywoodiano uscito nello stesso anno, il 1939, del tanto discusso Via col vento, e cioè il capolavoro di John Ford Stagecoach (da noi Ombre rosse). Crippa accosta e contrappone le due produzioni. Stagecoach, dice, è “un inno rooseveltiano alla società aperta e tollerante”, “il romanzo sociale di tante Americhe diverse costrette dal destino a condividere la stessa carrozza, lo stesso viaggio”: “benvenuti nella Frontiera, il sogno americano”. Via col vento rappresenta invece “un’America, per molti, da Eden, nostalgica e conservatrice – intimamente razzista, diciamolo pure – così diversa dal mito della Frontiera”.

Due Americhe insomma.

Due Americhe senza dubbio, due prospettive americane, non lo discuto.

Ma siamo sicuri che in questi due film – che, full disclosure, amo molto, entrambi, ciascuno a suo modo – non ci sia anche un po’ della stessa America? 

E’ un problema interessante. 

Ed è curioso. Ho commentato altrove che quando Via col vento arrivò in Italia, nel dopoguerra, per persone come mia madre rappresentò la celebrazione della sopravvivenza ai disastri della guerra, una sopravvivenza a ogni costo, con le unghie e con i denti, tutta in chiave femminile. Il “domani è un altro giorno” di Scarlett, anzi di Rossella. Dell’imbarazzante questione razziale probabilmente mia madre neanche si accorse, come per qualcuno continua a succedere ancora oggi. 

Proprio non la vide.

Evidentemente è possibile continuare a non vederla, la questione razziale, anche in Stagecoach. Un film che celebra la difficile ma possibile convivenza americana nella diversità americana, d’accordo. Ma di chi? Di una varia umanità fatta di tante persone – tutte bianche? Ma davvero? Non ci avete fatto caso? Eppure la whiteness di questa metafora d’America è lì in piena vista. Gli afro-americani non ci sono, non ne fanno parte. Fra l’altro in flagrante violazione della realtà storica specifica, proprio lì, proprio allora. Intorno al 1880, l’anno di questo viaggio in carrozza dall’Arizona al New Mexico, la regione era piena di cowboy neri. E di soldati neri. Avete presente l’entusiasmante arrivo della cavalleria che mette in fuga gli assalitori Apache? Bene, proprio allora a combattere gli Apache in New Mexico c’erano dei reggimenti di black cavalry, i Buffalo Soldiers.

Caso vuole che non tocchi a loro l’onore dell’eroico salvataggio.

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Buffalo Soldiers Guarding a Stagecoach, circa 1870, National Archives, Washington, D.C.

Nel film sono gli Apache a dare corpo ai non-bianchi, e sono corpi radicalmente nemici, vogliono uccidervi, sono esterni, distanti, “in effetti solo ombre, comparse” commenta Crippa. Il titolo italiano, per vie misteriose (misteriose per me, che non ne conosco l’origine), esplicita un sottotesto del film. Mentre Stagecoach mette a fuoco la micro-comunità bianca impegnata a fondare se stessa (e una nazione) nel corso di un viaggio collettivo, Ombre rosse enfatizza invece la minaccia circostante, incombente. Che è una bella intuizione, e un classico paradosso delle narrazioni della “conquista del West”: i pionieri europei che si sentono assediati in casa loro dai “selvaggi” (la carrozza inseguita nel deserto, i carri che fanno cerchio nella prateria, la fattoria solitaria), mentre in realtà sono loro a minacciare e assediare gli abitanti del luogo. 

Insomma, a me pare che Stagecoach, così diverso da Via col vento, trovi comunque con Via col vento un tratto comune lungo la linea del colore. Entrambi i film raccontano la nazione come epopea bianca a contatto e in contrapposizione con popolazioni non bianche, ombre rosse o ombre nere che siano. Entrambi sono espressione di una razzializzazione strutturale dell’immaginazione storica e culturale che, credo, non sia estranea a nessuno di noi. E’ questa una ragione per criticarli, censurarli o metterli al bando? Per analizzarli criticamente certo che sì, per il resto no. Che sia piuttosto un invito ad aguzzare la vista, a guardare cercando di vedere e di dare un nome alle ombre. 

Un poeta che non ricordo chi sia diceva che una volta che hai visto, dopo, non puoi più non vedere.

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Categorie:Americanismo, cultura di massa

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