“Il popolo ha parlato”, come si dice in questi casi. Per sapere esattamente che cosa ha detto c’è voluto qualche settimana. Ma ora si può convenire: nelle elezioni di medio termine del 2018 l’ondata democratica, la blue wave c’è stata davvero, ha investito la Camera dei Rappresentanti (40 seggi guadagnati a questo punto, con la conquista di una maggioranza di 235 seggi a 200) e non solo. E infatti, oltre al popolo in generale, anche qualche repubblicano ha cominciato a parlare, e a dire cose sconvenienti, avvertendo che c’è trouble ahead per il Grand Old Party. Tre episodi della cronaca di questi giorni sono, nel loro piccolo, tre presagi allarmanti per Donald Trump e il suo partito, almeno nel senso di quel partito repubblicano che molti osservatori considerano (forse a torto) del tutto “trumpizzato”.
Il presidente Trump “non sarà là per sempre”, per nostra fortuna. A pronunciare questa bestemmia è un political consultant repubblicano di New York, dove le elezioni statali hanno spazzato via il partito, confinandolo nelle campagne (un po’ come nel paese at large). Il presidente, dice costui, è “un fattore devastante a New York e nel New England e in altri stati dove predomina il blu, but he won’t be there forever”. Non è e probabilmente non sarà l’unico a dirlo, e non solo nei blue states. Trump e il suo tipo di partito repubblicano si sono difesi bene laddove erano già forti, nei red states più tradizionali e fra gli elettori rurali e delle piccole città; i moderati successi in Senato (dove passano da 51 a 53 seggi) ne sono una prova. Ma da lì non si sono mossi, non hanno mostrato alcun dinamismo altrove. Anzi hanno perso terreno nelle aree contese dei suburbs e di quei mitici settori della working class bianca che sembravano aver deciso le elezioni del 2016. Molte conquiste democratiche alla Camera sono infatti avvenute nei collegi suburbani, i più densi e più vicini alle aree metropolitane. Per esempio nel sud della California, in quella Orange County adiacente a Los Angeles che è stata, anche simbolicamente, la culla del conservatorismo moderno. E ci sono stati segni di ripresa nella rust belt. I democratici hanno inoltre vinto, magari per un pelo, competizioni statali contro incumbents repubblicani dati per favoriti (per governatore del Wisconsin) o, più minacciosamente, per un solo pelo le hanno perse in territori red-state come Florida, Texas, Georgia. Fuori dai porti più sicuri, in mare aperto Trump è stato tossico per il partito repubblicano. Ha infiammato la sua base più fedele ma ha anche mobilitato per reazione la base più ostile democratica, e ha lasciato perplessi e avversi gli spettatori.
Il partito repubblicano “è sul punto di estinguersi”, e senza un colpo di vita, senza una iniezione ricostituente, Trump sarà “l’ultimo presidente repubblicano”. Ad annunciare questo terrificante futuro, in una intervista a una radio di destra, è Ann Coulter, la commentatrice di destra che aveva pronosticato la vittoria di Trump quando era comico farlo, lo aveva appoggiato fin dalle primarie, aveva scritto per lui il libro In Trump We Trust. E che ora si definisce una “ex Trumper” delusa, e attacca il presidente e il partito, be’, sì, da destra. Tutta colpa dell’immigrazione incontrollata di massa, dice, che sta provocando una rivoluzione demografica e garantirà ai democratici il dominio politico indefinito. Abbiamo appena perso tutta la California, stiamo perdendo il Texas e la Florida, diventeremo come il Brasile (ma non le piace neanche Jair Bolsonaro?). Coulter ce l’ha con Trump che non ha ancora costruito il muro, e con gli “idioti repubblicani” che si perdono in questioni certo importanti per la causa come l’aborto o i gun rights o la Corte suprema ma non vedono la vera crisi esistenziale che li aspetta: entro pochi anni “tutti i nostri voti saranno cancellati dagli immigrati”. Non è chiaro, dall’intervista, che cosa i repubblicani non idioti dovrebbero fare in proposito, quale potrebbe essere l’iniezione ricostituente, cercare di sedurre il voto immigrato non è un’opzione considerata, costruire il muro, d’accordo, e poi? Ciò che è chiaro sono i fatti: il trend demografico del paese è proprio quello. E il Gop è già partito di minoranza, lo era nel voto popolare presidenziale del 2016 (63 milioni di voti contro 66 milioni democratici), lo è nella somma nazionale dei voti alla Camera nel 2018 (51 milioni contro 60 milioni democratici).
“In buona sostanza li ha chiamati tutti criminali e ha detto che non li vuole qui. Sembra proprio uno stereotipo di gruppo”, fondato sulla paura. A parlare così crudamente del presidente e della sua retorica anti-migranti è un critico assai improbabile. E’ Ammon Bundy, un leader del movimento delle milizie, formato da ultraconservatori antistatisti del West e del Sudovest che più di una volta hanno sfidato il governo di Washington in confronti a muso duro, anche armi alla mano. Che vedono molte politiche federali come incostituzionali, tiranniche, una minaccia ai loro diritti. Che sono, in qualche modo, natural-born Trumpers. Non a caso alcuni di loro che avevano guai con la giustizia sono stati da Trump graziati, solo pochi mesi fa. E ora il signor Bundy trova il tempo di fare un video di una quindicina di minuti con queste affermazioni sgradevoli. Vive in Nevada, uno stato di confine, studia la faccenda di prima mano e dice: non è vero che i migranti sono mandati dall’Onu, o pagati da Soros, o terroristi. Sono padri e madri e bambini che fuggono dall’oppressione e hanno bisogno di aiuto: “E’ possibile che alcuni siano pericolosi, devono essere vagliati con attenzione. E poi devono essere fatti entrare e accolti in questo grande, meraviglioso paese”. E aggiunge: “Sono francamente sorpreso, deluso e talvolta disgustato dalla quantità di persone che si professano cristiane ma non aderiscono davvero a ciò che ha detto Cristo”. Il background di questo discorso è un radicalismo civile e religioso che fonde chiesa e stato, vangelo e Costituzione, individualismo e fede nell’America come “nazione cristiana”. E’ tipico dei fondamentalisti evangelici bianchi che costituiscono una delle constituencies più fedeli di Trump. E che non dovrebbero cominciare a dubitare così del loro presidente, perché non gli porta bene.
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