“La sinistra vince quando fa la sinistra”. Se imita la destra è perduta. E’ un mantra ben collaudato nel dibattito internazionale sui destini della sinistra socialista. Ed è qui ripetuto a proposito delle elezioni di medio termine del 6 novembre scorso negli Stati Uniti, in un articolo tradotto per l’edizione italiana del periodico americano Jacobin (vedilo qui). Meagan Day si interroga sul “che fare” dentro il partito democratico e mette in fila argomenti ragionevoli che un po’ conosciamo e che sentiremo spesso nei prossimi mesi, e probabilmente anni. Non intendo discuterli qui. Piuttosto, molto brevemente, mi concentro sui tre esempi virtuosi e di successo che l’autrice propone in conclusione del suo ragionamento. Laddove scrive: “Quando la sinistra si presenta come sinistra e vince, come hanno fatto Alexandria Ocasio-Cortez, Julia Salazar, e Franklin Bynum in queste elezioni di midterm, è una doppia vittoria”.
Sono esempi che riguardano tre giovani candidati democratici dei Democratic Socialists of America (sui quali vedi qui) – e che, a mio parere, visti da vicino, non dimostrano niente. Le loro vittorie sono vittorie del partito democratico che il partito avrebbe comunque ottenuto, chiunque fosse il candidato, socialista oppure no. L’unica cosa che si può concedere è questa, e qui se volete si annida la speranza: il fatto di essere socialisti non ha nuociuto né a loro né al partito.
Prendiamo Franklin Bynum che si presentava per un posto di giudice di contea a Houston, Texas, il meno noto dei tre, e quello più complicato anche da spiegare: giudici elettivi? Ne parleremo la prossima volta. Bynum ha cominciato la corsa passando le primarie democratiche senza oppositori, bella forza, no? E poi sì, ha vinto le elezioni generali competitive per la sua carica battendo l’avversario repubblicano con il 56% dei voti contro il 44%. Ottimo risultato. Ma esattamente eguale a quello di tutti gli altri candidati della lista di cui era parte, candidati democratici non socialisti che hanno tutti vinto con le stesse percentuali. (Fra l’altro, con questa operazione i Dems di Houston hanno fatto piazza pulita dei giudici repubblicani della contea, ben 59 posti, un terremoto, una di quelle robe locali che sono inevitabilmente ignorate nelle cronache nazionali di questi giorni).
Gli altri esempi sono più facili e più noti, ma forse non notissimi in tutti i loro dettagli, dettagli nei quali si nasconde il diavolo, come sempre. Come ho ricordato in un post precedente, la nostra beniamina socialista newyorkese Alexandria Ocasio-Cortez, che a 29 anni sarà la più giovane deputata alla Camera dei rappresentanti della storia nazionale, dopo aver vinto in maniera sorprendente delle primarie che, sì, nel suo caso sono state impegnative, ha poi stravinto alle elezioni generali. Dove e come? In un collegio democratico ultra-sicuro. E con il 78% dei voti, esattamente come i suoi predecessori non socialisti, compreso quello da lei sconfitto alle primarie, che nel 2016 aveva preso il 75%. Maggioranze bulgare sì, dunque, ma democratiche, non socialiste.
E infine c’è il caso di Julia Salazar (che di anni ne ha 28), eletta a Brooklyn a un seggio di senatore statale del New York State. Per arrivare a Albany, Salazar ha sconfitto nelle primarie democratiche il senatore in carica e compagno di partito con una performance molto buona, da risultato netto, il 58% dei voti contro il 42%. E quindi la candidatura se l’è guadagnata. Ma una volta ottenuta la candidatura di partito, guardate un po’ – ha veleggiato verso la conquista della carica alle elezioni generali senza avere concorrenza, prendendo il 99,2% dei voti espressi. Avete capito bene, il collegio è così sicuro per i democratici che i repubblicani neanche ci provano, tempo sprecato. A queste condizioni avrebbe potuto essere eletto anche il mio amico George Washington Plunkitt, che peraltro il senato statale di New York lo conosceva bene.
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P.S. Possiamo anche andare avanti, non per infierire sui candidati ma sulle facili generalizzazioni. Anche Rashida Tlaib, la giovane donna di origini palestinesi eletta in Michigan, e che sarà una delle prime due donne musulmane alla Camera, è una socialista DSA. E anch’essa ha vinto in un collegio democratico sicuro, che dico, sicurissimo. E’ un distretto congressuale che comprende parte di Detroit e di Dearborn. Le primarie sono state, loro sì, molto partecipate e combattute, le ha superate per il rotto della cuffia con il 31,2% dei voti contro il 30,2% della concorrente più vicina. Alle elezioni generali è invece andata tranquilla. Ha ottenuto un enorme 85% dei voti avendo come concorrenti una candidata Green e uno del Working Class Party. I repubblicani neanche si sono presentati.
E ancora. L’altra giovane musulmana eletta alla Camera, Ilhan Omar, una Somali-American nata a Mogadiscio, non è una socialista. Ma anche la sua elezione è interessante. Ha vinto in un distretto del Minnesota che include la metropoli di Minneapolis. Dopo aver passato le primarie competitive del suo partito (che qui si chiama Democratic-Farmer-Labor Party) con il 48% dei voti, alle elezioni generali ha preso il 78%, una bella impresa, no? Certo il risultato fa meno impressione se si pensa che il suo predecessore Keith Ellison (un afro-americano che fra l’altro è stato il primo deputato musulmano in assoluto) ha ottenuto le stesse percentuali per anni, il 69% nel 2016, il 71% nel 2014 – e così via indietro. Il seggio è così sicuramente Dem o meglio DFL che prima di Ellison, l’onorevole Martin Olav Sabo se l’è tenuto per 28 anni prima di andarsene in pensione invitto.
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