
“Pulling down the Statue of King George III at Bowling Green, N.Y., July 9, 1776”, 1856, by William Walcutt, oil on canvas, Lafayette College Art Collection, Easton, Pennsylvania.
La Sissco, Società italiana per lo studio della storia contemporanea, ha tenuto a Varese presso l’Università dell’Insubria (12-14 settembre 2018) il suo seminario nazionale sul tema “Cittadinanza e narrazioni nazionali”. Quello che segue è un pezzetto (rielaborato e un po’ esteso) del mio intervento, “Monumenti della nazione: lo specchio americano”.
Una volta deciso che anche la repubblica nata da una rivoluzione iconoclasta, che ha abbattuto i monumenti al potere monarchico, può avere essa stessa dei monumenti (cosa non scontata intorno all’anno 1800). Una volta deciso che i monumenti possono essere anche a singole persone, eroi, grandi uomini, e non solo alle masse raccontate da austeri obelischi. Una volta deciso che George Washington è un padre della patria davvero di tutti, non un uomo di parte, un Federalista, il sostenitore di una costituzione che dà troppo potere a un troppo forte governo nazionale. Una volta deciso tutto questo, si cominciano a pensare e poi a costruire monumenti che lo rappresentano.
E’ questa la storia di una approssimazione graduale che dura tutta la prima metà dell’Ottocento, e che esemplifico con la storia di tre statue – che è a suo modo una piccola guida a certe trasformazioni politico-culturali della nuova nazione.

“George Washington”, 1821, modello in gesso di Antonio Canova, 1818, 170 cm, Museo Canova, Possagno, Treviso (Fondazione Canova).
La prima statua si inaugura nel 1821 nell’atrio del Campidoglio della capitale del North Carolina, Raleigh. Indoor dunque, e in un luogo decentrato del paese. Rappresenta un Washington seduto, vestito con gli abiti classici di un civis romanus repubblicano (una vecchia fantasia rivoluzionaria), che scrive il suo Farewell Address in cui dice che non cercherà un terzo mandato presidenziale: un atto di rinuncia al potere politico dunque. Così è voluta dai suoi ideatori locali, così è consigliata dal gran consigliere, l’ex-presidente Thomas Jefferson, che suggerisce anche il nome dello scultore, il più grande che a suo parere ci sia allora nella grande Europa transatlantica. Così è dunque scolpita da Antonio Canova – in Italia, in marmo di Carrara. E poi spedita nel nuovo mondo.
Il fatto di essere indoor invece di una protezione si rivela una iattura. La statua dura poco. Dieci anni dopo, nel 1831, il Campidoglio brucia, il tetto sprofonda e la manda in pezzi. Sarebbe stata, si dice, la statua più prestigiosa di tutto l’Ottocento americano, dato il gran nome del suo autore. Per fortuna si salva il modello in gesso in scala 1:1 rimasto nello studio di Canova in Italia e ora conservato nel suo museo a Possagno, vicino Treviso. (Il modello è stato esposto per tutta l’estate 2018 alla Frick Collection di New York.)

“Enthroned Washington”, 1841, by Horatio Greenough, Carrara marble, 3.5 m, National Museum of American History, Washington, D.C. (Smithsonian Institution).
La seconda statua è quasi altrettanto sfortunata. E’ ancora di un Washington seduto ed esposto indoor. Di nuovo la realizzazione è italiana, in marmo di Carrara a Firenze, da parte dello scultore americano Horatio Greenough. Questa volta il luogo di esposizione è nazionale, la Rotunda del Campidoglio della capitale, dove viene inaugurata per ordine del Congresso nel 1841. Qui il caro George è irriconoscibile. E’ assiso su un trono in abiti ancora classici, ma greci e non romani, è un Washington intronato ispirato alla descrizione dello Zeus di Olimpia di Fidia, con la toga sulle ginocchia, a torso nudo, in posa più legnosa che ieratica, mentre restituisce la spada alla fine della guerra rivoluzionaria: di nuovo un atto di rinuncia al potere, il potere militare che cede a quello civile. Ma qui l’aria è tutt’altro che repubblicana, piuttosto imperiale direi. Fra l’altro, delle piccole statue sui lati del trono raffigurano un Cristoforo Colombo che contempla il suo destino di conquista e un Indian American che contempla il suo destino di sconfitta.
Soprattutto l’aria è ridicola. Ci si fanno grandi risate nella capitale. Il caro George, si sta facendo un bagno forse? Restituisce la spada perché vuole il sapone? No, perché vuole i vestiti! Ma nessuno l’ha mai visto nudo! Neanche sua madre! E’ nato vestito, già il monumento (vestito) di se stesso. E così via. Nel 1843 la statua è rimossa, messa in un angolo del parco circostante, esposta a tutte le intemperie. (Sembra che divenisse un’immagine di culto dei primi movimenti naturisti americani, ma per ora tratto la notizia come fake news.)

“Lieutenant General George Washington”, 1860, by Clark Mills,bronze, 2.7 m × 4.3 m, Washington Circle, Washington, D.C. (National Park Service).
Gli atti di rinuncia al potere sono classiche idealizzazioni repubblicane di Washington che lo mettono a contrasto con Napoleone, così come mettono a contrasto la rivoluzione e la nazione americana con quella francese. La terza statua è tutt’altra cosa. E’ finalmente una statua equestre in bronzo, disegnata e fusa in America da Clark Mills, esposta in città outdoor, in abiti non classici ma moderni, quelli del generale vittorioso su un campo di battaglia, con la spada sguainata – commissionata dal Congresso nel 1853 e inaugurata nell’anno fatale 1860.
Dico finalmente soprattutto perché rompe il tabù post-rivoluzionario della statua equestre: che è cosa da monarchi, come ben si sa, non da leader repubblicani; i repubblicani le abbattono le statue equestri, non le innalzano. E invece la statua di Washington dà loro nuova vitalità (non questa statua da sola, e non del solo Washington, in verità, in quegli stessi anni, ma questo è un discorso per il post scriptum). Fra l’altro, se la criniera tempestosa del cavallo del generale ricorda qualcosa, è perché è già vista: è modellata sulla criniera del cavallo di Napoleone nel dipinto di Jacques-Louis David, Napoleon Crossing the Alps (1801).
E’ così che si conclude un percorso dell’immagine di George Washington come eroe nazionale? Dalla periferia del North Carolina alla capitale federale, dal chiuso all’aperto, da civis romanus repubblicano a generale napoleonico? La repubblica e la nazione stanno cambiando, sono cambiate? La grande espansione imperiale verso ovest ne sta modificando la natura?

“Napoleon Crossing the Alps”, 1801, by Jacques-Louis David, oil on canvas, 261 cm × 221 cm, original version, Château de Malmaison, Rueil-Malmaison.
Post scriptum. A proposito delle statue equestri. Negli anni cinquanta dell’Ottocento ce ne sono almeno altre due di Washington, e precedenti a quella del 1860. La prima è del 1856 a New York City, a Union Square. La seconda è del 1858 a Richmond, Virginia.
Ma soprattutto – la prima statua equestre a ricomparire in Nord America dopo l’abbattimento di quella di Giorgio III nel 1776, non è del padre fondatore bensì di Andrew Jackson: il generale anti-britannico, il combattente nelle guerre indiane sulla frontiera, lo schiavista del Tennessee, il presidente della rivoluzione democratica, il costruttore del moderno partito democratico. La statua è inaugurata nel 1853 nella capitale, a Lafayette Square, proprio davanti alla Casa bianca. E’ questo monumento che abbandona lo stile aulico, classico di altri monumenti, e che celebra un eroe contemporaneo in abiti contemporanei; per questo è anche criticato, giudicato troppo realistico, di cattivo gusto. Fra l’altro risolve il problema tecnico di raffigurare un cavallo rampante che si regga solo sulle zampe posteriori, e questo ne fa un’opera spettacolare di grande successo popolare. E’ sulla base di questo successo che il Congresso commissiona al suo autore, Clark Mills, la statua equestre di Washington del 1860.

“Andrew Jackson”, 1853, by Clark Mills, bronze, 2.4 m, Lafayette Square, Washington, D.C. (National Park Service).
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