Ho visto la prima volta The Big Lebowski il 6 marzo 1998.
Lo so perché c’è scritto su Wikipedia.
Cioè, su Wikipedia c’è scritto che quel giorno il film ha aperto negli Stati Uniti, e così sono certo della mia data. Era un venerdì, sarei partito il giorno dopo da New York per l’Italia, e la sera, fatte le valigie, sono sceso al cinema sotto casa. Il cartellone annunciava l’arrivo dell’ultimo film dei fratelli Coen. Non ne sapevo niente. E’ stato un colpo di fulmine.
Nei mesi successivi, in Italia e Spagna, mi capitò di trascinare con troppo entusiasmo vari amici a vederlo. In tutti i casi: zero reazioni, sguardi interrogativi, dubbi sulla mia sanità mentale. So che è andata così anche nei grandi numeri. Il film all’inizio non ha avuto successo di pubblico, non è piaciuto ai critici, solo con gli anni è cresciuto in maniera sotterranea fino a diventare quella cosa lì, un cult movie.
Di questo culto sono un adepto, in senso blando: non vado ai festival, non mi travesto, non ho buona memoria per le battute, l’ho rivisto solo una decina di volte. Ma, in un senso molto preciso, posso dire di essere un adepto della prima ora. Perché? Non lo so. Ho fatto un po’ di web surfing, tanto per perdere un po’ di tempo, e ho trovato un sacco di roba che potrebbe aiutarmi. Roba serissima.
Sarà solidarietà generazionale, conforto nostalgico?
Il Dude (e se non sapete chi è, cosa leggete a fare) dice di essere stato, da giovane, uno degli autori del Port Huron Statement del 1962, il manifesto del radicalismo studentesco degli anni sessanta. Autore della versione “originale”, dice, quella di sinistra – non la seconda resa pubblica, già annacquata. Il riferimento ha colpito anche Tom Hayden e Dick Flacks, i (se-dicenti) veri autori, che lo citano proprio all’inizio del loro ricordo nel quarantesimo anniversario dell’evento, nel 2002 su The Nation.
“Nel film The Big Lebowski” scrivono, “l’hippie invecchiato e strafatto interpretato da Jeff Bridges annuncia che ha contribuito a scrivere il Port Huron Statement. Non ci ricordiamo che il Dude fosse là con noi, ma è gratificante che il documento fondante degli Students for a Democratic Society viva ancora nella nostalgia e nell’immaginazione di così tante persone”.
Nostalgia canaglia. Ma la vera parola chiave, parecchio fastidiosa, è “invecchiato”.
Sarà la complessità filosofica dell’oggetto? Basterebbe leggersi The Big Lebowski and Philosophy (2012). Seriamente.
“Nessuna delle dimensioni filosofiche del film dovrebbe sorprenderci, visto che Ethan Coen si è laureato a Princeton nel 1979 proprio in filosofia, con una tesi su Two Views of Wittgenstein’s Later Philosophy. Qualunque sia la fonte di tutto ciò, la gente ha scoperto un sacco di cose che sono di interesse filosofico nei va-e-vieni e quant’altro di The Big Lebowski. I contributi in questo volume fanno riferimento a Kant, Aristotele, Mill, Derida, Butler, la fenomenologia, Epicuro, l’esistenzialismo, Agostino, la filosofia del linguaggio, la filosofia della storia e persino la moderna teoria logica per spacchettare il film ed esplorarne risonanze e implicazioni.”
Seriamente, davvero dovrei andare avanti?
In effetti, sembra che esista un campo specifico di Lebowski studies, o almeno un libro che si intitola così, The Year’s Work in Lebowski Studies (2009). Scorro pigramente l’introduzione.
“In un certo senso i fans sono degli accademici che se la cavano meglio con le public relations. Come gli accademici, prendono le loro cose anche troppo sul serio per i gusti del largo pubblico. Supernutriti di ipotesi teoretiche, i fans prosperano in un ambiente dove si spreca tempo indagando codici arcani di materiali arcani, dove nessuno si aspetta che si producano risultati pratici o immediati (giusto un po’ di teorie, annotazioni, ricerca), e dove la mancanza di qualsiasi promessa di profitto è vista quasi come una virtù. In effetti, i fans stanno agli accademici come i dilettanti stanno ai professionisti. L’ostilità preternaturale di Walter [e se non sapete chi è, cosa leggete a fare] ai dilettanti (sono peggio dei nazisti e dei nichilisti, sembra) rende evidente un desiderio di nascondere questo fatto. In questo senso, i fans potrebbero essere considerati degli accademici sotto-performanti, il ché può facilmente metterli in gara per essere il gruppo di consumatori più pigro del mondo”.
Ecco infine una prospettiva soddisfacente, la pigrizia. Mi inquieta solo quel “nascondere”, cosa ci si nasconderà dietro? Voglio dire, quale ipotesi teoretica?
Qui ci vuole un bagno caldo e un White Russian – una allusione a Trotsky? Dove l’ho letta questa? Che fatica. “Fuck it, let’s go bowling”.
Bill Clinton e Hillary Rodham, New Haven, 1972
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