«Eppure, e in termini molto concreti, l’Africa è una delle cause prime del terribile tracollo della civiltà che ci è dato di vivere. Queste mie parole vogliono dimostrare che il Continente Nero è il luogo dove cercare le radici nascoste non solo della guerra di oggi, ma della minaccia di quelle future».
Così scrive nel maggio 1915, in un saggio su Atlantic Monthly, l’intellettuale e attivista afro-americano W.E.B. DuBois. Il titolo del saggio è The African Roots of War. DuBois cerca di collocare la Grande guerra in un contesto non europeo ma globale, in particolare nel contesto del conflitto per il controllo delle «nazioni più scure del mondo» e delle loro ricchezze da parte delle potenze «bianche» – il conflitto lungo la «linea del colore».
Di questo conflitto fa parte la devastazione dell’Africa da parte degli imperi europei, alimentata dal pregiudizio razziale – «la stupefacente teoria dell’inferiorità della maggioranza degli uomini a un piccolo gruppo». Ne fa anche parte la complicità delle classi operaie delle nazioni imperiali – «ai lavoratori bianchi viene proposto di prender parte alla spartizione del bottino dello sfruttamento di “cinesi e niggers”».
Eccone una pagina, tratta dalla traduzione italiana in W.E.B. DuBois, Sulla linea del colore. Razza e democrazia negli Stati Uniti e nel mondo, a cura di Sandro Mezzadra (Il Mulino 2010). Il testo originale è reperibile online, per esempio qui.
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«Quanti più sono i contendenti, tanto più feroce è la rivalità. Da Fashoda ad Agadir, più volte è stata data miccia alle polveri della santabarbara europea, e la deflagrazione è stata evitata per un soffio. Si parla dei Balcani come epicentro dell’Europa e come causa di questa guerra, ma non è altro che una spiegazione che segna il passo. I Balcani servono a chiarire alcuni avvenimenti, ma la vera posta in gioco che spinge oggi le grandi nazioni europee ad azzannarsi a vicenda riguarda le risorse e le popolazioni del continente più scuro.
L’attuale guerra mondiale è dunque il prodotto di gelosie e invidie determinate dal recente sorgere di sacre alleanze su scala nazionale fra lavoro e capitale, che hanno come obiettivo lo sfruttamento delle ricchezze del mondo soprattutto al di fuori della cerchia delle nazioni europee. Queste alleanze, divenute gelose e sospettose della spartizione del bottino dell’impero commerciale, lottano fra loro per aumentare ciascuna la propria parte; cercano la propria espansione non tanto in Europa quanto in Asia e soprattutto in Africa. “Non vogliamo nemmeno un centimetro di territorio francese”, ha detto la Germania rivolta all’Inghilterra, ma la Germania era “impossibilitata a fornire” le stesse garanzie a proposito del territorio francese in Africa.
Le difficoltà di questo movimento imperiale sono tanto interne quanto esterne. Il successo dell’aggressione economica richiede che in patria vi sia una stretta unione tra capitale e lavoro. Ora, le rivendicazioni della classe lavoratrice bianca – non solo sul terreno salariale, ma più in generale su quello delle condizioni di lavoro e di una propria voce nella gestione dell’industria – rendono difficile la pace industriale. La pacificazione dei lavoratori è stata raggiunta, da una parte, attraverso sforzi di ogni tipo per un socialismo di Stato, dall’altra, attraverso la minaccia esplicita di aprire la competizione con la manodopera di colore. Da un lato, con la minaccia, in Inghilterra, di investire capitale in Cina, in Messico e in America (impiegando lavoratori neri) e, dall’altro, con la promessa di assicurazioni e pensioni, abbiamo ottenuto la pace industriale in patria al prezzo ben più alto della guerra all’estero».
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