Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

L’America, la Russia, l’Ucraina e anche il Sud Globale: brevi appunti di lettura

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New York City, 7 aprile 2022. Il voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti per sospendere la Russia dalla partecipazione al U.N. Human Rights Council. A favore 93 paesi, contro 24, mentre 58 si astengono.

Alcune letture pasquali dal Washington Post, per mettere in fila qualche appunto su – be’, che cos’altro? America, Russia, Ucraina e persino il Sud Globale.

Dunque, dice Dan Balz, sia Zelensky che Biden hanno usato la strategia retorica dell’indignazione morale, sollevando lo scandalo dell’aggressione, delle vittime civili, dei crimini di guerra, della natura e della legittimità del regime russo. Nel caso di Zelensky è chiaro lo scopo politico e anche immediato pratico: galvanizzare i combattenti ucraini che resistono all’aggressione, collocare l’aggressione in un contesto più ampio che non riguardi solo l’Ucraina, sfidare gli interlocutori stranieri, i governi occidentali, le organizzazioni internazionali a fare di più, a fornirgli tutti gli aiuti di cui dice di aver bisogno. Nel caso di Biden, che è arrivato ad accusare Putin (accuse non giuridiche) di “crimini di guerra” e di “genocidio”, non sembra che ci sia una policy di governo che si muova al livello della radicalità assolutista della retorica morale. Per fortuna c’è un gap fra retorica e policy, che tuttavia è pericoloso: si possono fare accordi con un nemico così? O va portato a Norimberga? Biden ha più responsabilità e potere di Zelensky, e chiaramente vuole evitare lo scontro armato diretto con Putin. Deve stare attento alle parole che usa.

Oppure in effetti una policy adeguata sta nascendo piuttosto rapidamente, nei luoghi che contanno? Una nuova strategia, dicono Karen DeYoung e Michael Birnbaum, che coinvolge Washington e gli alleati europei e che potrebbe segnare un ritorno alla politica occidentale di isolamento e di contenimento della Russia, dopo anni di ricerca della cooperazione. In questo caso anche lo sdegno, le condanne morali avrebbero un ruolo? I dettagli di questi cambiamenti emergeranno presto. Con il prossimo documento di National Security Strategy dell’amministrazione Biden che già circola in forma incompleta e riservata; dove l’accento è, accanto alla competizione globale con la Cina, di nuovo sulla “sfida russa in Europa”. E con i documenti del prossimo meeting NATO di Madrid, a giugno; dove si parlerà di chiusura delle opzioni di dialogo con la Russia, di fine delle interdipendenze economiche (troppo pericoloso dipenderne), di riarmo e di eventuali nuovi membri. In quale prospettiva temporale non è chiaro: mesi, anni? Fino alla fine della guerra, cioè? Fino alla fine di Putin? Cioè?

C’è chi mette in discussione la saggezza di questi progetti. Qui il Post cita un saggio dello storico Stephen Wertheim su Foreign Affairs che sostiene che gli eventi russo-ucraini hanno certo compattato il fronte occidentale e creato consenso dentro gli Stati Uniti. Ma che proprio per questo l’amministrazione Biden non dovrebbe cedere alla tentazione della primacy, che è invece sempre presente in una parte dell’establishment di Washington; dovrebbe piuttosto cogliere l’occasione per passare la mano in Europa agli alleati europei, e per concentrarsi sul vecchio programma di inizio mandato, la sicurezza collettiva in Asia e le riforme interne (che rischiano di sparire dall’agenda). Ricordando comunque, aggiunge il Post, che non è detto che il compattamento occidentale si mantenga una volta finita l’urgenza bellica, e neanche che continui il consenso interno americano, una volta che il disordine commerciale aumenti ancora l’inflazione. Biden personalmente, a differenza delle sue politiche, ha già livelli bassi di approvazione, e molte cose potrebbero cambiare con le prossime elezioni di medio termine.

Naturalmente viste da fuori occidente le cose stanno in altro modo, scrive Ishaan Tharoor. Grandi paesi democratici come il Brasile, l’India e il Sud Africa, insieme a tanti altri paesi, sono stati assai prudenti nel mantenere i loro storici rapporti di amicizia e d’affari con la Russia, all’ONU hanno rifiutato di votare per punirla. Putin, lungi dall’essere isolato, può contare sui loro mercati e sulla loro solidarietà o almeno non-ostilità formale, oltre che naturalmente sulla Cina. Secondo Trita Parsi di MSNBC, le cose stanno così: i leader non occidentali vedono bene chi è l’aggressore e simpatizzano con gli ucraini, ma fare sacrifici per rompere con la Russia? Non se ne parla nemmeno, dicono, la pretesa degli Stati Uniti e dei loro alleati di favorire un ordine internazionale migliore è pura ipocrisia. Anch’essi si sono comportati e si comportano in maniera aggressiva e impunemente illegale. Anch’essi, in quanto potenze bianche, scrive Amoz JY Hor, hanno politiche razziste nel decidere chi proteggere e chi no. Com’è inevitabile, la storia pesa.

Insomma solo l’occidente che contempla il proprio ombelico può immaginare uno sdegno anti-russo universale. C’è piuttosto una spaccatura nel mondo, per molti versi la solita: un asse occidentale anti-russo a cui si contrappone (qui Ishaan Tharoor cita Gideon Rachman dal Financial Times) un “asse dell’indifferenza centrato sul Sud Globale”. Indifferenza che può derivare dal fatto che nel Sud Globale ci sono un sacco di altre guerre. O che le sofferenze ucraine sono per loro geograficamente lontane, un po’ come per noi sono lontane quelle di tanti altri altrove. O che, anche senza andarseli a cercare, gli eventi ucraini hanno già prodotto danni concreti, ravvicinati, esistenziali. Scrive Gerry Shih dallo Sri Lanka che, a seguito di quegli eventi, la crisi economica locale si è trasformata in una calamità: aumento dei prezzi internazionali dei generi alimentari e dei combustibili, costi insostenibili di benzina e diesel, interruzione delle fornitute elettriche, dei traffici commerciali, dei lavori agricoli, della pesca, inflazione e crollo delle finanze pubbliche. E fame. E proteste sociali, per ora pacifiche.

Categorie:Guerra, Guerra fredda

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