Discorso del presidente Franklin D. Roosevelt alla convenzione statale del partito democratico, stato di New York, Syracuse, 29 settembre 1936.
[E’ necessario ricordare che dire, nel 1936, “Abbiamo dimostrato che la democrazia funziona” era una sfida e non una constatazione? Mentre i regimi democratici crollavano uno dopo l’altro? E che scommettere sul riformismo sociale del New Deal era appunto una scommessa? Mentre si parlava di crisi finale del capitalismo?]
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Abbiamo un duplice compito. In primo luogo, per semplice patriottismo, separare le questioni fasulle da quelle vere; in secondo luogo, con i fatti e senza rancore, chiarire agli americani i veri problemi.
Ci saranno – ci sono – molte questioni fasulle. Da questo punto di vista, non sarà diverso da altre campagne elettorali. I faziosi, non volendo affrontare la realtà, tireranno fuori false piste [red herrings] come hanno sempre fatto – per distrarre l’attenzione dalle loro debolezze.
Questa pratica è antica come la nostra democrazia. Indifferente ai fatti – timorosa della verità – una opposizione calunniosa ha accusato George Washington di volersi fare re sotto un governo di tipo britannico; Thomas Jefferson di voler importare la ghigliottina sotto un governo di tipo francese rivoluzionario; Andrew Jackson di voler spennare i ricchi della costa orientale e consegnare la democrazia americana alla dittatura della frontiera. Hanno chiamato Abraham Lincoln un imperatore romano; Theodore Roosevelt un demolitore; Woodrow Wilson un messia auto-proclamato.
In questa campagna spunta un’altra falsa pista. In anni precedenti è stata britannica e francese – e tante altre cose. Quest’anno è russa. Disperati e arrabbiati per i loro fallimenti, subdoli nelle intenzioni, individui e gruppi cercano di fare del comunismo una questione controversa in una elezione in cui il comunismo non è affatto un elemento di disaccordo fra i due partiti principali.
Qui e ora, una volta per tutte, mettiamo a tacere questa falsa pista, distruggiamo questa questione fasulla. Conoscete bene il mio background, la tradizione a cui mi ispiro; conoscete bene, specialmente qui nello stato di New York, la mia carriera pubblica nell’ultimo quarto di secolo. Per quasi quattro anni sono stato presidente degli Stati Uniti. Ho una storia piuttosto lunga alle spalle. In questa storia, sia in questo stato che nella capitale del paese, troverete una dedizione limpida e coerente non solo alla lettera ma allo spirito della nostra forma di governo.
A quella storia, il futuro mio e della mia amministrazione resterà fedele. Non ho mai cercato, non cerco, anzi ripudio l’appoggio dei sostenitori del comunismo o di ogni altro “ismo” che voglia cambiare, con le buone o con le cattive, la democrazia americana.
Questa è mia posizione. E’ sempre stata la mia posizione. Sarà sempre la mia posizione.
[…] Il comunismo è una manifestazione del malcontento sociale che sempre si accompagna a un estesa crisi economica. Noi del partito democratico non ci siamo accontentati di denunciarne la minaccia. Siamo stati abbastanza realistici da affrontarla. Siamo stati abbastanza intelligenti da fare qualcosa. E il mondo ha visto i risultati di quello che abbiamo fatto.
Nella primavera del 1933 avevamo di fronte una crisi che era il frutto avvelenato di dodici anni in cui le cause del malcontento economico e sociale erano state ignorate. Era una crisi che sembrava fatta apposta per coloro che volevano rovesciare la nostra forma di governo.
[…] Abbiamo affrontato l’emergenza con un’azione d’emergenza. Ma soprattutto siamo andati alla radice dei problemi, abbiamo attaccato le cause della crisi. Eravamo contro la rivoluzione. Quindi abbiamo fatto guerra alle condizioni che producono le rivoluzioni –le diseguaglianze e i risentimenti che le generano. Nell’America del 1933 il popolo non ha cercato di rimediare alle ingiustizie rovesciando le istituzioni. Agli americani è stato fatto capire che le ingiustizie potevano essere e in effetti sarebbero state riparate nell’ambito delle istituzioni. Abbiamo dimostrato che la democrazia funziona.
[Abbiamo imparato molte cose qui nello stato di New York, fin da prima della Grande guerra.] A cominciare dal 1911 è giunta al potere una nuova leadership democratica, che ha portato con sé una nuova filosofia di governo. Ho avuto la buona sorte di affacciarmi alla vita pubblica proprio allora. Ho trovato altri giovani coetanei nell’assemblea legislativa statale – uomini che avevano la stessa filosofia; uno di loro era Robert Wagner; un altro era Al Smith. Avevamo una causa comune. Non guardavamo al governo come a qualcosa di separato dal popolo. Pensavamo piuttosto che fosse qualcosa che il popolo potesse usare per il suo bene.
Nuove leggi che stabilissero standard decenti di sicurezza e igiene nelle fabbriche; limitazioni alle ore di lavoro delle donne; una legge contro gli infortuni sul lavoro; una legge che imponeva un giorno di riposo ogni sei di lavoro; una legge sulla sicurezza del personale ferroviario; una legge sulle primarie dirette – queste leggi e molte altre sono state passate che allora erano considerate radicali ed estranee alla nostra forma di governo. Qualcuno fra voi o qualcuno in America le chiamerebbe oggi radicali o straniere?
[…] C’è davvero qualcuno in America che crede di poter correre il rischio di restituire il governo alla vecchia leadership che ci ha portato sull’orlo dell’abisso del 1933? Grazie alle lacerazioni e alle tensioni di questi anni abbiamo capito che il vero conservatore è colui che si preoccupa sinceramente delle ingiustizie e che pensa a come anticipare ed evitare il giorno del giudizio. Il vero conservatore cerca di proteggere il sistema della proprietà privata e della libera impresa correggendo le ingiustizie e le diseguaglianze che ne derivano. La minaccia più seria alle nostre istituzioni viene da coloro che rifiutano di guardare in faccia il bisogno di cambiamento. Il liberalismo diventa la protezione del conservatore lungimirante.
[…] Gli uomini saggi e prudenti – i conservatori intelligenti – hanno sempre saputo che in un mondo in cambiamento le buone istituzioni possono essere preservate solo adattandole ai tempi che cambiano. Nelle parole del grande saggista [britannico Thomas Babington Macaulay], “La voce dei grandi eventi ce lo proclama: Riforma se vuoi preservare”. Sono quel tipo di conservatore perché sono quel tipo di liberale.
- Successi e sconfitte del “mio” socialismo americano, quello molto pratico del Wisconsin
- La seduzione dei corpi affollati nella strada (Nathaniel Hawthorne, 1851)
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