
Gavin Hamilton, The Death of Lucretia or The Oath of Brutus (1763-67), Yale Center for British Art, Yale University, New Haven, Conn.
Una vecchia amica, Luciana Piddiu, ha scritto queste note di commento al libro di Silvia Panichi, Roma antica e la nuova America (Donzelli 2018) e al mio post di qualche settimana fa, Il mito di Lucrezia e l’idea di repubblica (vedi qui). Le condivido con grande piacere.
LUCREZIA, di Luciana Piddiu
Nella sua riflessione sul libro di Silvia Panichi “Roma antica e la nuova America”, Arnaldo Testi sottolinea come nell’opera di Britten “The rape of Lucretia” il figlio di Tarquinio il Superbo tratti l’intera città ‘come se fosse la sua puttana’, facendone il suo ‘bordello’.L’azione rivoluzionaria che determina la fine della monarchia e l’inizio della gloriosa repubblica romana si configura come l’opera di uomini virtuosi in lotta contro chi, privo di qualunque moralità e rispetto, ha violato una giovane sposa, innocente e ingenua, presa a tradimento dentro le mura della sua stessa dimora. La miccia della ribellione è stata dunque lo stupro di Lucrezia. Privata del suo onore, essa si toglie la vita chiedendo agli uomini della sua famiglia, al padre e al marito, di essere vendicata.
Il suicidio di Lucrezia, rappresentato in numerose opere pittoriche, negli anni compresi tra il Quattrocento e il Cinquecento, assume agli occhi di un pubblico colto, come sottolinea Silvia Panichi, un doppio significato etico: da un lato testimonia la castità e il pudore della giovane sposa, dall’altro si configura come necessario fondamento di moralità nelle istituzioni pubbliche. E tuttavia, mentre Lucrezia, per ristabilire il proprio onore macchiato, sacrifica se stessa togliendosi la vita, i suoi familiari decidono di lavare nel sangue l’offesa subita e fondano la Repubblica. Dunque, si interroga Testi, la Repubblica o meglio l’idea stessa di repubblica, è dunque un’idea maschile? In quel particolare contesto storico la risposta non può che essere affermativa.
Non si può dar conto del gesto di Lucrezia se non si valutano con attenzione alcuni indizi fondamentali. Un primo indizio lo troviamo nei versi del poemetto di William Shakespeare, pubblicato a Londra nel 1594, in cui si narra la storia di Lucrezia. Si presenta quasi come un atto d’accusa nei confronti del marito:
“Perché divulga dunque Collatino
la gemma che celare anzi dovrebbe
a orecchie ladre, essendo lui il padrone?”
Sul significato di queste parole non possono esserci fraintendimenti: si dice a chiare lettere che la sposa è proprietà del marito. Come prima delle nozze lo era del proprio padre. Del resto, ancora oggi, nelle cerimonie nuziali il padre accompagna la sposa per poi consegnarla -in un vero e proprio atto simbolico di scambio- al futuro sposo.
Il secondo indizio ruota intorno al concetto di onore. Nel sistema sociale patriarcale la giovane donna, la ragazza, è garante dell’onore di suo padre e dei fratelli. Per questo deve essere protetta dagli sguardi maschili estranei alla famiglia, per questo deve mantenersi pura e integra evitando ogni contatto o avvicinamento con l’altro sesso. In una parola deve preservare e custodire gelosamente la sua verginità come il bene più prezioso. La ritrosia, lo sguardo tenuto basso, il pudore sono tratti distintivi essenziali di questo atteggiamento.
Più si mostra pudica e vergognosa, più padre e fratelli potranno andare a testa alta, fieri di sé, come si conviene ai veri uomini d’onore.
Una volta maritata la ragazza esce dalla tutela paterna e diventa garante, da quel momento in poi, dell’onore del marito. Il corpo femminile è il tabù non confessato nel quale trova radice l’essenza della virilità nella comunità dei maschi. L’uomo che non è capace di tenere a bada le sue donne, moglie, figlie, sorelle è come se non fosse un vero uomo.Tale è il ‘disonore’ che ricade su di lui nel caso di perdita della verginità da parte della giovane non ancora maritata, o di tradimento da parte della moglie, o di stupro per mano di un estraneo che solo il sangue può lavare l’onta e ristabilire l’onore perduto. Del resto il delitto d’onore, ancora largamente presente in molti paesi del mondo, è la testimonianza viva di questa mentalità patriarcale.
Nel caso di Lucrezia, assistiamo all’interiorizzazione di questo punto di vista, alla sua piena accettazione: Lucrezia, violata brutalmente da Sesto Tarquinio, toglie al marito e al padre l’onere doloroso di essere uccisa, ma col suo gesto rivela al mondo che lei si considera ancora una loro proprietà e per questo chiede di essere vendicata. Certo, ha mostrato un grande coraggio e una grande determinazione ma è ancora sottomessa a un sistema di valori che nega alla donna la sua autonomia, la sua soggettività come persona, il suo diritto ad abitare lo spazio pubblico. Se la donna è solo un’appendice dell’uomo, per quanto amata, vezzeggiata, considerata non potrà ambire a grandi imprese, potrà solo sostenere quelle del suo compagno, custodendo adeguatamente la casa e la prole e aspettando docile il ritorno del guerriero.
L’eroina, la cui determinazione è stata esaltata nelle diverse rappresentazioni nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, ci svela oggi lo sguardo maschile sul potere e sulla cosa pubblica, che sul corpo delle donne gioca la sua battaglia.
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