
“I was, uh, one of the authors of the Port Huron Statement. The original Port Huron Statement. Not the compromised second draft”
Mi capita abbastanza, grazie ad amicizie Facebook e Twitter a cui tengo molto, di seguire qualche discussione sui destini della sinistra-sinistra fatta da voci che vengono da dentro la sinistra-sinistra. Una volta provavo ogni tanto a dire la mia, con scarsa fortuna, ora non più – leggo e basta, e a un certo punto mi viene pure il mal di testa. Il tema centrale è in genere ciò che non siamo, ciò che non abbiamo, ciò che ci dovrebbe essere ma, ahimé, non c’è. La sinistra che non c’è, il giusto partito che non c’è, la giusta coscienza che non c’è, l’inadeguatezza o, diciamocelo, il tradimento di quei dirigenti che meglio perderli che trovarli. Il paradigma è lo stesso da anni, che dico, da decenni.
All’orecchio dello storico è un tema che suona vagamente ridicolo. Riecheggia la ridicolaggine di questioni storiche fasulle ma a suo tempo molto dibattute come la riforma protestante che non abbiamo avuto, la rivoluzione borghese che il Risorgimento non è stato, la Resistenza socialista che è stata tradita. La storia di ciò che non è stato, cioè il trionfo della storia come narrazione della deviazione colpevole da ciò che sarebbe stato bello e anche doveroso. La storia come narrazione di una colossale mancanza, o di colossale errore. Roba da storici dilettanti, divertenti se si gioca a Back to the future o a Terminator, letali quando si fa finta di pensare al nostro comune futuro. Roba da filosofi politici dilettanti.
Ultimamente, i filosofi che vanno in mongolfiera (cit.) e lodatori di ciò che manca dalle nostre parti, accanto a un Chavez o ancora a un classico Lenin (o a un super-classico Baffone), o magari anche a una socialdemocrazia alla tedesca (ma di quelle vere, non di quelle realmente esistenti), hanno cominciato a mettere tipi nazionali e politici improbabili fino a poco tempo fa. Tipi Anglo, voglio dire, tipi britannici del verbo laburista, dio ci perdoni, oppure, dio proprio non voglia, americani. Ahimé, la regressione della sinistra-sinistra. Costretta ormai a chiedersi, “come mai non abbiamo un Corbyn, come mai non abbiamo un Sanders”, i più à la page aggiungendo “come mai non abbiamo una AOC” (se siete arrivati fin qui, non devo spiegarvi chi è).
Su Corbyn lascerei parlare altri, ma su Sanders qualche parola posso dirla io, o meglio ripeterla, non è la prima volta. Non abbiamo un Sanders perché tutte le cose che hanno reso possibile la sua ascesa alla visibilità e alla rilevanza nazionale come leader politico “socialista” – alla sinistra-sinistra fanno un po’ senso. Non abbiamo un Sanders perché non abbiamo il bi-partitismo, non abbiamo un partito democratico a vocazione maggioritaria, interclassista e piglia-tutto, non abbiamo il collegio uninominale a maggioranza semplice, non abbiamo vere primarie istituzionalizzate. E quando robe così si sono timidamente affacciate sulla nostra scena, magari solo come progetto, o ancora ci sarebbero, la sinistra-sinistra le ha schifate, certo non le ha usate, non ha approfittato, ha guardato altrove.
Ha guardato altrove a un mondo minoritario per numeri e cultura, un mondo che odora di chiuso, a cui Sanders ha deciso esplicitamente, quattro anni fa, di rinunciare. Mettiamo che il caro Bernie si fosse presentato alle elezioni per conto, diciamo, del partitino “Free and Equal” — mah, fate un po’ voi che cosa avrebbe potuto combinare. Ha preferito lanciarsi in mare aperto.
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Tag:Bernie Sanders, sinistra-sinistra