Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

Midterms: stress test sul partito democratico

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Prendendo per buone le previsioni che dicono che i democratici avranno dei successi alla Camera, rifiutando di ammettere che nei margini d’errore dei sondaggi c’è invece la possibilità di vari tipi d’insuccesso, toccando nervosamente ferro in attesa delle news, vediamo un po’ – perché c’è successo e successo.

Se i democratici ottengono qualche seggio in più alla Camera dei rappresentanti, ma senza conquistare la maggioranza – c’è poco da fare, loro perdono e Trump e i repubblicani vincono. Una sconfitta irreversibile? Non c’è niente di irreversibile. Che il partito del presidente sia punito alle elezioni di medio termine, è assolutamente normale, è accaduto quasi sempre. Dal 1842 a oggi le eccezioni sono state solo tre: nel 1934 di Roosevelt e della Grande depressione; nel 1998 del resilientissimo comeback kid Bill Clinton al suo secondo mandato; e nel 2002 di George W. Bush e del post 11 settembre. Il resto è la routine di un voto di moderata protesta nei confronti del governo, chiunque sia al governo e qualunque politica faccia, e di alcune candidature con tutta evidenza più deboli di altre.

Se i democratici conquistano una maggioranza di seggi alla Camera – be’, possono dire di aver vinto una bella battaglia. Con effetti immediati: reazione culturale contro il trumpismo, atto di sfiducia politico nei confronti di Trump, creazione di un ostacolo alle scelte del suo governo, polarizzazizzone che da politica diventa istituzionale, ritorno al “governo diviso”. Anche questo fatto non è proprio eccezionale. Il governo diviso è una tradizione americana ricorrente. Ed è capitato, in maniera ancora più radicale, cioè a proposito di entrambi i rami del Congresso, a tutti e tre gli ultimi presidenti, uno in fila all’altro. A Bill Clinton nel 1994 portarono via in un sol colpo Camera e Senato. La stessa sorte toccò a George W. Bush nel 2006. Obama ha invece avuto una lunga agonia: ha ceduto la Camera nel 2010 e il Senato nel 2014.

Se i democratici conquistassero la Camera e magari per il rotto della cuffia anche il Senato, se si materializzasse il sogno più wild, ma anche più nella norma degli ultimi trent’anni, di una loro “onda blu” – bisognerebbe comunque vedere bene il come e il dove, cioè che cosa saranno riusciti a fare secondo la più ovvia delle checklist. Tenersi strette e anzi mobilitare e portare alle urne le loro basi tradizionali, tipo le minorities non bianche? Riprendersi certi collegi blue-collar bianchi del Midwest? Contendere il terreno dei suburbs in transizione etnica, tipo in Southern California? Andar bene come in certi stati del sud, tipo il Texas per il Senato o la Georgia per il governatorato? Fidelizzare gli elettori più giovani? E le donne, che si sono candidate numerosissime a tutte le cariche nelle liste di partito?

In effetti, questa checklist andrà fatta anche se i democratici si limitassero a ottenere più seggi alla Camera ma non la maggioranza. Le midterm elections sono uno stress test non solo sull’amministrazione in carica ma anche sulla salute del partito di opposizione, sulla sua capacità di confezionare, magari su successi parziali ma significativi di tendenze, una strategia di party building rivolta al futuro. E’ già accaduto nella storia. Nel 1930 i democratici guadagnarono in entrambe le camere senza intaccarne il controllo repubblicano: ma stavano prendendo la rincorsa verso la vittoriosa coalizione del New Deal due anni dopo. Nel 1966 furono i repubblicani a fare la stessa cosa, segnando l’inizio della fine della coalizione democratica e scommettendo sulla loro vittoria presidenziale nel 1968, che fu, oggi lo sappiamo, epocale ed egemonica.

Non sono più i tempi di una volta, è probabile che coalizioni così stabili e durature siano passate di moda nella politica americana. E tuttavia anche in questo caso sarà utile cercare i segni di un percorso democratico al party building in vista almeno del 2020 – perché, come nei casi appena ricordati, puntare alla Casa bianca è ovviamente necessario e inevitabile. Forse un poco oltre il 2020, se non si pensa solo a campagne episodiche. Naturalmente si fa presto a dirlo: strategie così richiedono un minimo di consenso interno al partito. Sembra certo che fra gli eletti democratici ci saranno delle voci della sinistra alla Bernie Sanders che prima non c’erano, e che alcune voci clintoniane invece svaniranno. Quanto tempo ci vorrà, prima che i nuovi equilibri si stabilizzino?

Categorie:Elezioni

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