Gli indicatori economici americani sono buoni. Il Pil cresce sopra al 4% su base annua. Secondo un recente rapporto del Bureau of Labor Statistics (BLS) del ministero del lavoro, anche in agosto l’occupazione non-agricola è cresciuta di 200.000 unità. Il tasso di disoccupazione è al 3,9%, uno dei livelli più bassi dell’ultimo mezzo secolo. Un tasso più realistico, che tenga conto dei lavoratori scoraggiati che sono usciti dal mercato e di quelli part-time che preferirebbero un posto full-time, sale al 7,4%. E tuttavia nel primo semestre di quest’anno 780.000 part-timers sono diventati full-timers.
Ma soprattutto, e questa è la vera novità, sembra che anche i salari comincino a salire, in agosto un più 2,9% rispetto a un anno fa. Una bavetta di vento, ma almeno positiva – dopo decenni di stagnazione. Prodotta, sembra di capire, da un mercato del lavoro competitivo, dove l’esercito di riserva dei disoccupati, in particolare per gli skilled jobs, si è prosciugato. Si discute di quali siano i settori più toccati dagli aumenti, quanto siano reali in rapporto all’inflazione. Ma ci sono. La Casa bianca di Trump sostiene che secondo i suoi calcoli sono anche più generosi di quelli che traspaiono dalle statistiche del BLS.
In genere, una buona congiuntura economica favorisce il partito al governo, che può vantarsi di aver fatto un buon lavoro (che sia davvero merito suo, o del governo precedente, o della divina provvidenza, è irrilevante). Dunque, alle elezioni congressuali di medio termine dovrebbe favorire i repubblicani, più precisamente i repubblicani trumpiani. D’altra parte, se la situazione l’economica è più tranquillizzante, se gli elettori sono meno nervosi o preoccupati, soprattutto gli elettori repubblicani marginali (non zoccolo duro) che nel 2016 hanno scelto Trump – saranno ancora nel mood di votare per candidati endorsed da un presidente così perennemente arrabbiato?
- Ammar Campa-Najjar – chissà, da Gaza al Congresso?
- L’ala sinistra del possibile (i nuovi socialisti americani)
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