Per Ammar Campa-Najjar potrebbe trattarsi di un improbabile colpo di fortuna.
Il giovanotto è il candidato Democratico alla Camera dei rappresentanti nella circoscrizione 50 della California, un sobborgo middle-class dalle parti di San Diego, storicamente conservatore, abitato da militari ma anche da un numero crescente di ispanici e di rifugiati iracheni. L’incumbent Repubblicano, Duncan D. Hunter, un ex-Marine, ancora pochi giorni fa era dato per scontato vincitore. Poi è successo il fattaccio. Hunter è stato incriminato dalle autorità federali per corruzione, per aver speso i soldi della campagna in cose personali, vacanzette con la moglie alle Hawaii e in Italia. Le leggi elettorali della California (per motivi che spiegherò un’altra volta) non consentono la sua sostituzione come candidato, per cui arriverà comunque alle elezioni di medio termine del 6 novembre prossimo, ma zoppicante, forse molto zoppicante o forse no.
Entra così in gioco, improvvisamente, l’ underdog Democratico, underdog fino a ieri, anche per il suo stesso partito. Ma domani chissà. Ammar Campa-Najjar potrebbe essere un uomo con una chance, nello stato in cui la lotta Dem per strappare seggi congressuali ai Repubblicani è strenua e potrebbe essere decisiva.
Ammar Campa-Najjar, con quel nome lì, è un altro tipico “americano al 100%” che corre da sinistra nelle file Democratiche. Come altri suoi compagni di avventura di cui ho parlato qui, vincenti o perdenti che siano stati alle primarie, la notissima Alexandria Ocasio-Cortez del Bronx, Kaniela Saito Ing alle Hawaii, Abdul El-Sayed in Michigan, ha non solo un nome che è un programma multiculturale ma anche un’età attraente e invidiabile, una trentina d’anni (29 nel suo caso). E già una certa esperienza: ha lavorato per la campagna di Obama del 2012, per la Casa bianca e per il Dipartimento del Lavoro, per la Camera di commercio ispanica, si occupa di sviluppo di piccole imprese.
Il suo programma è quello del manuale delle giovani marmotte della sinistra Dem: un forte impegno ambientalista, i diritti degli immigrati alla cittadinanza e (come tutti) alla sicurezza, la difesa dei sindacati e dei diritti delle donne (eguaglianza salariale), la sanità per tutti e college gratuiti (per merito e bisogno). Cerca comunque di addattarsi all’ambiente piuttosto diversificato e in cambiamento, cerca i voti di Obama e delle minoranze etniche, ma anche i voti di Trump del 2016. Dice saggiamente che gli elettori di The Donald non possono essere dati per persi, né insultati: “Non è vero che sono ignoranti, sono piuttosto ignorati, dal mio partito, dal loro partito e dal paese”.
Da manuale è anche la lista degli endorsement: il partito nazionale e locale, ormai obbligati a farlo anche se all’inizio con poco entusiasmo ; ma soprattutto personalità come lo stesso Obama, le senatrici Kamala Harris ed Elisabeth Warren, il deputato di bella famiglia Joe Kennedy III; organizzazioni progressiste come Justice Democrats e Our Revolution di Bernie Sanders; sindacati di simpatie sanderiste come le infermiere (National Nurses United) e i lavoratori dei servizi (SEIU), molto potenti in California. Grazie a questa rete di sostegno sta raccogliendo parecchi finanziamenti, con più successo del suo un po’ azzoppato avversario Repubblicano. Ha fatto fund-raising per lui anche la star delle star, Alexandria Ocasio-Cortez
Che vinca o che perda, la sua biografia fa tanto America contemporanea, altro che America trumpista. Ammar Campa-Najjar è un americano palestinese-messicano di origine operaia, figlio di un immigrato palestinese musulmano e di una cattolica messicano-americana che dopo il divorzio ha tirato su i figli da sola. Ha passato quattro anni dell’infanzia con la famiglia a Gaza, dove ha frequentato la scuola cattolica, e dove, dice, “le aule diventavano rifugi antiaerei e mancavano acqua ed elettricità e talvolta anche il cibo”. E’ stato educato a rispettare due religioni e a parlare tre lingue, anche spagnolo e arabo. Aveva problemi a scuola, pensava che “tutti quegli anni a leggere in inglese da sinistra a destra e in arabo da destra a sinistra gli avessero confuso i fili del cervello”. In realtà è solo dislessico.
E’ una biografia che qualche prezzo glielo fa pagare, ma gli offre anche opportunità. Il nonno paterno era Muhammad Yusuf al-Najjar, il capo dell’ala militare di Al Fatah, ritenuto la mente dell’attacco di Settembre Nero che, nel 1972, portò al massacro di 11 atleti israeliani a Monaco, a sua volta ucciso da un commando israeliano a Beirut nel 1973. (Un ospedale a Gaza porta il suo nome.) La cosa è stata ricordata dai media, Fox News lo ha definito “nipote di un terrorista” – che tuttavia “ripudia il suo oscuro passato famigliare”, amen. Il giovane Ammar, che sa il fatto suo, ha fatto difesa preventiva, non ha nascosto niente, ha collaborato con dei rabbini locali per lanciare messaggi di pace e conciliazione, sostiene la two-state solution in Medio Oriente. Ha anche l’endorsement di J Street.
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