Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi

Politica e storia degli Stati Uniti

La bandiera, il governo e la libertà di coscienza (un pezzetto di storia)

a_101_NFLProtests_160912Tratto paro paro (con qualche taglio) da Arnaldo Testi, Stelle e strisce. Storia di una bandiera, Bollati Borignhieri, 2003, pp. 55-58

L’apparato rituale che circonda la bandiera a stelle e strisce è dunque piuttosto recente. La definizione dei suoi caratteri, così impastati di religiosità civile, ha suscitato parecchi conflitti che hanno chiamato in causa le convinzioni civiche e religiose dei cittadini, e il posto che la religione occupa nella vita pubblica.

Le cerimonie scolastiche del saluto alla bandiera e del Pledge of Allegiance sono state uno dei centri di questi conflitti. A iniziare le ostilità furono, nel decennio 1930-1940, i Testimoni di Geova – una chiesa millenarista che rifiuta qualsiasi atto di fedeltà al governo secolare, riconosce solo il regno di Cristo e interpreta alla lettera i precetti della Bibbia. Una famiglia di Testimoni della Pennsylvania rifiutò di far partecipare i figli a quelle cerimonie (allora obbligatorie nelle scuole dello stato), perché ciò contrasta con il divieto biblico di adorare immagini. I figli furono espulsi, e ne nacque un caso giudiziario che investì il Bill of Rights della Costituzione, in particolare il Primo emendamento che garantisce il diritto alla libertà di culto e vieta al governo di istituire una religione ufficiale. Il caso approdò alla Corte suprema federale.

In una prima sentenza i giudici diedero torto ai Testimoni di Geova, con una maggioranza di 8 contro 1. In Minersville School District v. Gobitis (1940), essi sostennero che gli stati avevano l’autorità di provvedere all’educazione civica degli scolari con i mezzi che ritengono più opportuni, e che questi mezzi non sono sindacabili dalla Corte stessa. Il giuramento e il saluto alla bandiera rientrano in queste competenze, e non violano alcun diritto costituzionale. Le convinzioni religiose non possono scusare un individuo dall’obbedire a una legge generale che mira non a promuovere o ostacolare una fede, bensì a indurre sentimenti di coesione nazionale. «La bandiera è il simbolo della nostra unità nazionale, e trascende tutte le differenze interne», affermò la Corte, e «l’unità nazionale è la base della sicurezza nazionale». I giudici dicevano insomma che i doveri civici sono superiori a quelli religiosi, e che il comune culto civile della bandiera è superiore ai diversi culti religiosi presenti nella società. Il richiamo all’unità e alla sicurezza nazionale era piuttosto forte nel 1940, quando la Seconda guerra mondiale era già in corso e gli Stati Uniti si stavano riarmando. A molti pareva che il patriottismo dovesse avere la precedenza su tutto e contro tutti.

Contro i Testimoni di Geova, che rifiutarono di venire a patti, crebbero gli atti di repressione degli stati e di ostilità dell’opinione pubblica, soprattutto dopo che il paese entrò davvero in guerra. Altri scolari furono espulsi, alcuni subirono minacce fisiche. La situazione stava diventando imbarazzante. La Corte accettò di discutere un secondo caso analogo e questa volta, con la sentenza West Virginia Board of Education v. Barnette (1943), rovesciò la sua posizione precedente. Con una maggioranza di 6 contro 3, dichiarò che la recita del Pledge of Allegiance e il saluto alla bandiera sono una coercizione e, se obbligatori, sono incostituzionali. Questi rituali non possono che essere volontari. Anche negli stati che li prevedono per legge, non c’è l’obbligo di parteciparvi né per gli insegnanti né per gli studenti.

Alcune cose erano cambiate nella Corte suprema. C’erano due nuovi giudici, appena nominati dal presidente Franklin D. Roosevelt; e il giudice Harlan Fiske Stone, l’unico che nel caso Gobitis si fosse opposto all’opinione di maggioranza, era diventato Chief Justice. Altre cose erano cambiate nella società; la guerra antifascista aveva accentuato la sensibilità alle forme di intolleranza e disciplina ideologica tipiche dei regimi nemici. Proprio ricordando le tragiche esperienze dei «nostri attuali nemici totalitari», la Corte sostenne che il Primo emendamento protegge sempre e comunque la libertà di coscienza degli individui, anche contro i programmi di educazione civica degli stati, anche in tempi di emergenza nazionale e di acceso patriottismo. La sentenza, scritta dal giudice Robert H. Jackson (uno di quelli nominati di fresco, e che più tardi fu pubblico ministero nei processi di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti), contiene affermazioni risonanti che risuonano ancora oggi nel dibattito pubblico – e che sono rilevanti in tutta la sfera pubblica, anche al di fuori dell’ambito scolastico.

«Coloro che iniziano l’eliminazione coatta del dissenso si trovano ben presto a sterminare i dissenzienti. L’unificazione obbligatoria delle opinioni ottiene solo l’unanimità del cimitero».

«Non c’è alcun misticismo nel concetto americano dello Stato o della natura o dell’origine della sua autorità. Il nostro governo si fonda sul consenso dei governati, e il Bill of Rights nega a coloro che sono al potere ogni possibilità legale di coartare quel consenso».

«Se c’è una stella fissa nella nostra costellazione, è che nessun funzionario, di rango elevato o infimo, può prescrivere che cosa sia ortodosso in politica, nazionalismo, religione o in altre materie d’opinione, o costringere i cittadini a confessare con parole o atti la loro fede in proposito».

 

Categorie:patriottismo

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