Lo ha ricordato Michelle Obama alla Democratic National Convention dell’altro giorno, lunedì 25 luglio – quello che gli storici sanno bene, e cioè che la Casa bianca e tutta Federal City ovvero Washington City (come si chiamava allora), la nuova capitale fondata da zero in una zona di boscaglia e palude fra Virginia e Maryland, fu costruita anche con il lavoro degli schiavi. Com’era normale e inevitabile nel Sud schiavista degli Stati Uniti di fine Settecento, che la schiavitù avevano accettato nella loro Costituzione.
Il passaggio del discorso di Michelle è questo, ripreso in parte da un commencement address che aveva tenuto al City College of New York all’inizio di giugno scorso.
Questa è la storia di questo paese, la storia che mi ha portato su questo palco stasera, la storia di generazioni di persone che hanno sentito la frusta della schiavitù, la vergogna della servitù, il marchio della segregazione, ma che hanno continuato a lottare e a sperare e a fare quello che andava fatto così che oggi mi sveglio ogni mattina in una casa che è stata costruita da schiavi. E guardo le mie figlie, due belle, intelligenti giovani donne nere che giocano con i loro cani nel prato della Casa bianca.
Un’altra donna e un’altra First Lady di più di due secoli fa, Abigail Adams, moglie del secondo presidente, il Federalista John Adams – bianca come si usava a quei tempi e come si è usato fino a otto anni fa, gran signora del Massachusetts con tutti i pregiudizi sociali, politici e etnici del suo ceto e della sua provenienza regionale “nordista” – così testimonia e commenta la presenza degli schiavi nei cantieri della Executive Mansion (come si chiamava allora la Casa bianca).
Lo fa in una lettera del 28 novembre 1800. Abigail è appena arrivata in città perché la città è stata appena più o meno inaugurata come capitale. Ci resterà pochi mesi, perché nel frattempo è stato eletto presidente il Repubblicano e schiavista virginiano Thomas Jefferson, che si sarebbe insediato nel marzo successivo. Si tratta quindi di passarci l’inverno, in un ambiente che è tutto fuorché urbano, sconosciuto e ostile, selvaggio e incivile, così lontano in tutti i sensi dal suo Massachusetts (tale era la “nazione” americana all’alba della sua storia).
Siamo davvero venuti in una nuova parte del mondo e nel mezzo di un nuovo tipo di abitanti. E’ una città in nome, ma è nella wilderness, un bell’angolo di natura certo – ma devono ancora arrivarci il commercio e una razza più forte e industriosa dei suoi attuali abitanti per costruirla e darle un qualche grado di rispettabilità.
Gli effetti della schiavitù sono visibili ovunque, e dalla mia finestra mi sono dilettata a guardare di giorno in giorno il lavoro di 12 negroes, che sono incaricati di rimuovere della terra davanti casa con quattro carretti a cavalli. I quattro carretti sono caricati tutti insieme, e mentre quattro di loro portano questa sporcizia un mezzo miglio più in là, i restanti otto si riposano appoggiati al badile. Due dei nostri vigorosi uomini del New England farebbero in un giorno lo stesso lavoro di questi 12, ma è il vero Repubblicanesimo che costringe gli schiavi poco nutriti e malvestiti a lavorare mentre il proprietario guarda senza far nulla, benché il suo unico schiavo sia l’unica proprietà che possa vantare. Così sono fatti molti degli abitanti di questo posto qui. […]
Non appena abbiamo lasciato la città [Baltimora] ci siamo subito trovati circondati dai boschi. Qua e là si affaccia dall’ombra una capanna di paglia senza vetri alle finestre, abitata da blacks. I bambini in giro come natura li ha fatti venire al mondo. I bianchi della lower class sono un gradino al di sotto nei negroes quanto a intelligenza, e dieci gradini sotto quanto a civiltà. Sembrano i rifiuti dell’umanità – il loro carattere universale è questo: mancanza di puntualità, facilità di promesse, ma chi si aspetta delle prestazioni resterà sicuramente deluso. […]
Ci sono moltissime cose che mi sarei portata dietro, se avessi saputo come stanno le cose, come lo so ora. Ma visto che la mia permanenza qui non durerà che pochi mesi, pazienterò e sopporterò tutto, compreso il gelo, visto che qui il freddo è già stato più intenso di quanto sia mai stato nella stessa stagione dalle nostre parti.
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