Barack Obama ha usato pochissimo il suo potere di veto. Sia il veto vero e proprio, quello esplicito, con cui il presidente rifiuta di firmare una legge approvata dal Congresso, la rimanda al mittente con le sue obiezioni, e i congressmen possono prevalere solo riapprovandola con la maggioranza qualificata dei due terzi in ciascuna delle due camere. Sia il pocket veto, quello silenzioso, con cui il presidente si “mette in tasca” una legge mentre il Congresso non è in sessione, non fa niente, dimentica di firmarla e la cosa muore lì.
Finora, nel corso di quasi otto anni, Obama si è servito di questo privilegio esecutivo solo nove volte.
E nove è il numero in assoluto più basso da quasi un secolo.
Dei presidenti che hanno preceduto Obama governando due mandati come lui, George W. Bush è arrivato a quota 12 (quota bassa anche la sua, in verità), Bill Clinton a quota 37, Reagan a 78, Ike Eisenhower a 181, Franklin D. Roosevelt a quota 635 – nel suo caso per un periodo di tredici anni, tre mandati e un po’. Anche i presidenti di meno di due mandati non se la sono cavata male. Andando a ritroso nel tempo: George H.W. Bush 44, Jimmy Carter 31, Richard Nixon 43, Lyndon Johnson 30, Kennedy 21 in mille giorni, Truman la bellezza di 250.
Come mai così pochi veti obamiani? Per giunta in anni che invece dovrebbero essere promettenti da questo punto di vista. Perché caratterizzati da grande rissosità fra il potere esecutivo e il potere legislativo, da rissosità e polarizzazione dei partiti, da un lungo periodo di “governo diviso” – in cui al presidente democratico si è contrapposto un Congresso con la Camera (dalle elezioni di midterm del 2010) e poi anche con il Senato (dalle elezioni di midterm del 2014) in mano al partito repubblicano. Che ha condotto una opposizione durissima ai limiti del boicottaggio.
Una prima risposta è istituzionale. Alcune sessioni congressuali dell’era Obama, anche per le ragioni appena dette, e cioè rissosità e governo diviso, sono state fra le meno produttive della recente storia legislativa. Quindi meno leggi hanno raggiunto il desk del presidente, e ci sono state meno occasioni di zuffa fra i poteri. Nei bienni 2011-12 e 2013-14 (quando la Camera era repubblicana e il Senato democratico) sono state approvate rispettivamente 125 e 124 bills di sostanza (escludendo quindi le sciocchezze cerimoniali). Molto meno delle sessioni precedenti: per esempio, 157 nel biennio 2009-10.
Una seconda risposta è politica. Nell’appena citato biennio 2009-10 (il primo di Obama, quello ricco di misure di riforma dall’Economic Stimulus Act a Obamacare al Dodd-Frank Wall Street Reform Act) i democratici controllavano tutti gli organi di governo, Camera e Senato e Casa bianca, e quindi il veto non serviva a un granché. Mentre nel corrente biennio 2015-17, con tutto il Congresso in mano repubblicana, la minoranza democratica in Senato ha usato efficacemente l’ostruzionismo, il filibustering, per bloccare in itinere gran parte delle leggi che il presidente sarebbe stato tentato di non firmare.
Gran parte delle leggi ma non tutte: alcune sono comunque filtrate. E infatti dall’inizio del 2015 qualcosa è cambiato.
E’ in quest’ultimo periodo che si sono infatti concentrati sette dei nove veti della presidenza Obama fino a oggi. C’è stato, nel febbraio 2015, il veto all’autorizzazione del grande oleodotto Keystone XL, che dovrebbe unire il Canada al Golfo del Messico ed è molto osteggiato dagli ambientalisti. C’è stata, fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, una serie di veti a varie misure che riducevano le prerogative della Environmental Protection Agency, l’ente per la protezione ambientale. E infine la ciliegina sulla torta, l’8 gennaio 2016: il veto alla legge che abrogava parti importanti di Obamacare, la prima che il Congresso sia riuscito a passare, il sogno a lungo inseguito e infine infranto dei repubblicani.
Ha dato fastidio al presidente porre il veto? – è stato chiesto a un portavoce della Casa bianca. La risposta: “Neanche un po’. Un colpo di penna e via”.
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